La penna di André Simon (ITA – FR)

La-penna

Dal blog di André Simon ( https://asimon.eu/blog/ ) traduco questa poesia che porta in sé tutta la nostalgia per un’infanzia che tornando alla memoria c’inonda con un profumo di eternità.

La penna immersa nell’inchiostro,
emerge da un tempo passato,
sollecita la mano del somaro,
ravviva le sue dita paralizzate.

Un po’ troppo, o non abbastanza …
l’inchiostro si diffonde o inaridisce,
macchiando l’anima del passato blu
di vecchie parole che giacciono ancora lì.

Il bambino che ero ritorna
a prendermi per mano, a guidare la penna.
Il calamaio dei giorni andati
emana adesso come una schiuma

di eternità.

André Simon
traduzione di Marcello Comitini

 

Plume

La plume trempée dans l’encre,
surgie d’un temps révolu,
réveille la main du cancre,
ranime ses doigts perclus.

Un peu trop, ou pas assez …
l’encre s’étale ou s’amenuise,
tachant l’âme du bleu passé
de vieux mots qui toujours y gisent.

L’enfant que je fus revient
tenir ma main, guider la plume.
De l’encrier des jours anciens
émane ici comme une écume

d’éternité.

André Simon,  https://asimon.eu/blog/poesie/plume/

Chiasso (video lettura di Luigi Maria Corsanico)

Immersi nell’acqua di un vaso, i fiori si tendono sugli steli verso l’alto ansiosi di mostrare se stessi e di essere “colti” dal viandante. Nella consapevolezza della loro bellezza  creano una tensione “chiassosa”.
Siamo tutti un po’ così, tutti desideriamo essere amati e facciamo di tutto per essere riconosciuti, anche muovendoci rumorosamente in mezzo agli altri, sino a disturbare la serenità della natura che impassibile ci richiama al rispetto del suo silenzio.

Luigi, ha scelto di leggere questa poesia di difficile interpretazione con una lettura pacata, attenta per evidenziare il senso di questi versi e spingerci a rispettare con umiltà  la lezione a cui la natura ci richiama attraverso il monito della luna.

Un grazie di cuore a Luigi. ❤️

Pablo Neruda, La solitudine (videolettura di Luigi Maria Corsanico)

A commento di questa video lettura ho scritto:
Neruda non soffre della solitudine in cui tutti ci crediamo immersi, volenti o nolenti. La sua è la solitudine del non conformista, del rifiutato, del senza tetto, di colui che bussa non per chiedere ma perché aprano il cuore al suo messaggio.

Una solitudine talmente aspra, talmente dura da mettere in dubbio le sue facoltà mentali, la sua stessa capacità di sapersi ascoltare.
È sempre così quando ci si accorge che gli altri non comprendono quel che vien detto loro, anzi lo storpiano interpretandolo a modo proprio. E allora si ha voglia di dire anche a sé stesso: “forse non ci siamo visti mai”.

Questa poesia da me già pubblicata come solo testo ( QUI ), accompagna e sottolinea  il senso di solitudine che sorge in chi scrive, quando le reazioni (qualche volta polemiche)  gli fanno disperare  della capacità dei lettori di condividere un discorso che si rivolge a un livello generale, pur includendovi, non persone ma categorie, che per la natura delle mansioni svolte non possono che essere lontane dalla fatica esistenziale e culturale di chi si dedica a tempo pieno, e con sofferenza di fronte alle ingiustizie, a comporre  poesie, con l’intento di rivolgersi all’umanità , anche a quella di coloro che si sono sentiti chiamati in causa.

https://letturelecturas.home.blog/2020/02/18/pablo-neruda-soliloquio-nelle-tenebre/

Il festeggiato

Pessoa ritratto

marcellocomitini

Il mio omaggio a Fernando Pessoa, alla sua poetica, al suo amore, ai suoi dubbi, ai suoi tormenti. All’uomo Pessoa, alle storie senza tempo, alle nostre storie personali che si intrecciano con quelle del Poeta e con quelle senza tempo.

A Luigi Maria Corsanico, che ha letto in esclusiva questi versi, esprimo la mia profonda gratitudine per averli resi vivi con la sua voce  – che spesso si intreccia  con quella di Pessoa. È per me un onore che colui che legge le poesie dei più grandi poeti, con un gusto dell’arte, del bello e dell’armonia (gusto davvero difficile da riscontrare in altri) abbia apprezzato questi miei versi e li abbia voluti leggere a voce alta diffondendoli a tutti coloro che amano come lui la bellezza e l’armonia.

In appendice al testo della poesia, ho ritenuto opportuno qualche annotazione a chiarimento dei rimandi contenuti nei versi.

In una bottega di libri…

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Saper leggere

marcellocomitini

cesare-pavese

Chi commenterà questo video, chi scenderà tra le parole scritte da Cesare Pavese e lette da Luigi Maria Corsanico?

Pavese ha avuto la fortuna di interloquire con un operaio. Oggi potrebbe parlare soltanto a ragionieri o casalinghe che nulla sanno degli operai, o a dattilografi che ricopiano malamente parole già dette da altri. E mentre le ricopiano non si chiedono che senso hanno, perché e come sono state dette, ma soprattutto scritte.

Già Pavese diceva che poiché tutti sanno leggere, credono anche di capire e poter giudicare. Ma per poter giudicare bisogna prima studiare e penare sulle “sudate carte” e condividere, condividere fin nel profondo della coscienza, le pene, le sofferenze, le incertezze dell’umanità quella più vera e più debole.

I ragionieri non se ne abbiano a male, e neppure le casalinghe o i dattilografi, ma quando il rumore che odono tutto il giorno è quello dei locali in cui…

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La stanza (ITA – FR)

La-stanza-per-webk

Nella stanza dei tuoi sogni e delle tue solitudini
dove celebri il rito dei piaceri e dell’estasi
e insegni al tuo corpo le dolcezze dell’uomo,
dove spegni i desideri con lunghe carezze
che le tue mani donano al pube bagnato,
sono entrato guidato dai tuoi sorrisi incerti
dal tuo sguardo acceso di tenera paura.

Come in un sogno i seni, ciottoli odorosi
di un torrente fragrante d’acque luminose
sfioro con le mie mani, carezzo con le labbra
e aspiro come rose i tuoi capezzoli bruni.
Come in un sogno la tua profonda bocca
colma di saliva da cui bevo vino
spinge il desiderio di spezzare gli argini,
spargere i nostri corpi di lucidi cristalli
che sgorgano dalla pura sorgente genitale.
Entro nella tua vita al centro del tuo cuore
al centro delle gambe che in un gesto d’amore
apri e rinserri avide intorno ai miei fianchi.
E lentamente, mentre i nostri cuori ansanti
gustano il piacere, si diffonde la quiete
si sciolgono le braccia si allontanano i corpi
ma le pupille restano sorridenti a guardarsi
si pongono domande suggeriscono risposte.

Dalla finestra aperta entra  il tramonto
tinge di rosso i nostri corpi ci invita nell’amore,
entra il fiato sporco dei motori che passano
di auto che soffiano di moto che ruggiscono.
E bucano i nostri cuori, strappano il cervello,
spalmano sui nostri corpi la paura della morte.

Chiudi la finestra! Stringimi forte al cuore,
prima che l’ombra intorbidi i nostri desideri.
Dimmi che mi ami e che il tuo corpo sogna
di volare al centro della felicità.

da “Formule dell’anima” Edizioni Caffè Tergerste, 20211

La chambre

Dans la chambre de tes rêves et de tes solitudes
où tu célèbre le rituel des plaisirs et du tourment
et à ton corps enseigne les douceurs de l’homme,
où tu éteigne les désirs avec de longues caresses
que tes mains donnent à ton pubis mouillé,
je suis entré guidé par tes sourires hésitants
par ton regard éclairé d’une crainte tendre.

Comme dans un rêve tes seins, galets parfumés
d’un torrent de fragrance d’eaux lumineuses,
de mes mains je touche, de mes lèvres je caresse
et j’aspire les roses brunes de tes tétons.
Comme dans un rêve ta bouche profonde
pleine de salive dont je bois du vin,
stimule le désir de casser les berges,
de semer sur nos corps les cristaux brillants
qui jaillissent de la pure source génitale.
J’entre dans ta vie au centre de ton cœur
au centre des jambes que dans un geste d’amour
tu ouvre et serre éprises autour de mes hanches.
Et lentement, comme nos cœurs haletants
savourent le plaisir, le calme se propage
les bras s’arrachent, les corps s’éloignent
mais nos pupilles restent souriantes en se regardant
se posent des questions suggèrent des réponses.

Par la fenêtre ouverte le coucher du soleil entre
peint nos corps en rouge nous invite à l’amour,
le souffle sale des moteurs qui passent entre
de voitures qui soufflent de motos qui rugissent.
Et ils transpercent nos cœurs, déchirent le cerveau,
répandent la peur de la mort sur nos corps.

Ferme la fenêtre ! Tiens-moi fort à ton cœur
avant que l’ombre trouble nos désirs.
Dis moi que tu m’aimes et que ton corps rêve
de s’envoler au centre de la félicité.

Della poesia non sapevo nulla

https://letturelecturas.home.blog/2020/02/16/marcello-comitini-della-poesia-non-sapevo-nulla/

Della poesia non sapevo nulla.
Se fosse venuta a trovarmi
con sorrisi e modi eleganti
sarei stato felice e mi avrebbe donato
il sacro carisma di poeta.
Della sua eleganza dei suoi sentimenti
della sua delicatezza affascinante
non sapevo nulla.
Conoscevo gli orrori del vivere
le delusioni del bambino dimenticato
dell’adolescente guardato
come il graffio sanguinante del gatto
sul braccio teso a punirlo.
E l’orrore dell’ uomo
che ha perduto il gusto della vita
tra le piaghe del dover vivere.
I miei occhi erano ciechi
le mie dita erano vuote
nel cuore batteva una pena
un desiderio bruciante
di una mano da prendere.
Dicevano che ero vivo
che i miei occhi non stavano fermi
ma dentro bruciava qualcosa
non sapevo cosa, una fiamma
un sentimento d’amore
una voglia
di nascondermi tra i sogni.
Di giorno mi rifugiavo nella notte
di notte sentivo nel petto
la luce fredda della luna
Mi spingeva a guardare l’infinito stellato
i colori dei fiori, a sentire
il profumo di terra bagnata.
Mi diceva che il vento porta via ogni cosa
anche ciò che ami, ciò che tieni
stretto al cuore.
Gli alberi erano il simbolo della vittoria.
Li spogliava d’inverno. Ma in primavera
loro pazienti e caparbi
tornavano a vestirsi.
Nei miei sogni però
gridavano e piangevano.
Da lontano la montagna
era mia madre ammantata di bianco
e il rosso della lava erano le sue labbra
i cui baci invano ho desiderato.
Dell’uomo sapevo, di mio padre sapevo
ch’era capace d’essere gentile
che poteva essere crudele
infiggere pene, condurre a morire.
Ai piedi di una croce ho visto
pendere in alto un giovane
che invocava suo padre.
Ha risposto il gelido sospiro della morte.
E gli uomini si giocavano il suo mantello
si spartivano le vesti ridevano della sua agonia.
Se la poesia fosse venuta a trovarmi
avrei capito che l’amore perdona.
E invece la poesia l’ho cercata io.
Dentro un povero tugurio
ho trovato una donna dallo sguardo fiero
nascosta nel buio tra pareti di pietra
che gocciavano sangue come da quella croce.
Cantava sotto voce
avvolta nel mantello del giovane crocifisso
nelle sue vesti divise e una spugna in mano
zuppa d’aceto. L’odore acre mi soffocava.
Con tono arrogante (pensavo già d’essere
poeta) le chiesi
dove potessi trovare la poesia.
Cosa vuoi da lei? E puntandomi il dito
Non sono io poesia. Ormai decaduta
abita ancora un castello sontuoso
con eleganti dame di compagnia
e servitori ossequiosi.
Questa è la tana dei poveri
di coloro che sognano inutilmente
una vita da esseri umani.
Rimani, ti prego
T’insegnerò che amare
è più doloroso dell’odio.
Rimani nel mio tugurio.
Tu non sarai mai poeta.
Sarai l’eco soltanto
dei dolori degli uomini
trafitti dalla guerra
dall’odio dalla dimenticanza.
Sarai il silenzio dei poveri
trascinati nel fango
dei negri ubriachi ributtati in mare
di uomini e donne condannati
per aver pensato, per aver lottato
per aver creduto nell’essere libero.
Griderai e ti diranno
che non sarai mai un poeta.
I poeti sono eleganti scrivono bene
parlano bene sussurrano anche
quando parlano del dolore e dei morti.
Hanno la musica e fanno danzare il mondo
e il mondo ride con le mani in tasca.
Non sarai mai un poeta – mi dice la donna –
Rimani. Non spegnere i loro silenzi

C’è ancora tanto da fare…

Nero è colui che pur di vendere asseconda i gusti del pubblico non educato all’arte; il grigio, corrispondente alla maggior parte degli estimati pittori, rappresenta la mediocrità. Appartengono al bianco coloro che sono in grado di innalzarsi verso un’ideale elevato da raggiungere. Comunque, nessun insegnamento accademico giovò alla mia arte… Ero stato scelto dagli Dei per consacrare la mia impresa: vivere la vita come un’unica perenne opera d’arte nel ritmo della nascita, della vita e della morte.

nati per vivere

segantini l'angelo della vita

Sentivo arrivare mio padre dal tintinnio della sua chincaglieria…accorreva mia madre a togliergli i vestiti che odoravano di rancido, di lunghe ore trascorse a racimolar del misero denaro, ad invitar la gente all’acquisto ridicolo di quell’inutile cianfrusaglia.

Mio padre… misero e ostinato venditore.

Mio padre…testardo e sognatore.

Ritornato a casa dal suo peregrinare, scommetteva con mia madre che, al prossimo mercato nel nuovo paese, la gente avrebbe litigato per acquistare il più possibile, per accaparrarsi la sua merce benedetta. Sì, benedetta dal buon Dio che presto lo avrebbe ricompensato delle sue fatiche.
E in quel giorno santificato dalla volontà divina, a casa non avrebbe riportato niente!
“Quel giorno”, ripeteva a se stesso, sarebbe arrivato da lì a poco. E gli affari avrebbero trasformato in oro, in pura luce, ogni angolo della nostra misera casa, compresa la sua “triste” chincaglieria.
Mia madre lo ascoltava pazientemente mentre osservava la bollitura delle scarne…

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Lode dell’imparare

Bartol-Brecht

Impara quello che è più semplice!
Per quelli il cui tempo è venuto
non è mai troppo tardi!
Impara l’a b c: non basta, ma
imparalo! E non ti venga a noia!

Comincia! Devi sapere tutto, tu!
Tu devi prendere il potere.

Impara, uomo all’ospizio!
Impara, uomo in prigione!
Impara, donna in cucina!
Impara, sessantenne!
Tu devi prendere il potere.

Frequenta la scuola, senzatetto!
Acquista il sapere, tu che hai freddo!
Affamato, afferra il libro: è un’arma.
Tu devi prendere il potere.

Non aver paura di chiedere, compagno!
Non lasciarti influenzare,
verifica tu stesso!
Quello che non sai tu stesso,
non lo saprai.
Controlla il conto,
sei tu che lo devi pagare.
Punta il dito su ogni voce,
chiedi: e questo, perché?
Tu devi prendere il potere.

Bertolt Brecht, Poesie e canzoni, 
A cura di Ruth Leiser e Franco Fortini
1959, Giulio Einaudi Editore

da https://letturelecturas.home.blog/2020/02/12/bertolt-brecht-lode-dellimparare/

La città

Fulvio Roiter

foto di Fulvio Roiter

Guardo con le pupille impenetrabili di un dio
questa immensa città che si risveglia
nel biancore dell’alba,
tagliata come l’occhio del serpente
dal lungo fiume che si snoda lentamente.

Nelle strade solcate dalle lame radenti della luce
angeli invisibili si annidano tra gli alberi
con le braccia tese in alto ad afferrare
le pallide crisalidi del cielo tra i palazzi.

Uomini escono ciechi da tiepidi meandri
irrespirabili d’aliti umani e scalpiccii di passi.
Con la pelle crespa di stridori di ferraglia
traversano crocicchi
con affanno s’imbucano tra i fiati
caldi di luce negli androni ingordi
di destini umani.

Non conoscono il dio che li sorveglia
che ogni giorno chiede sacrifici d’uomini,
e a sera li ributta stanchi sulle strade,
li rinsacca nella ragna dei meandri.

E dall’alto vedo formicolare la città
d’intorno al vecchio parco deserto e silenzioso
ad eccezione di quell’alba quando
tra gli alberi ancora macerati e gocciolanti
della luce lacrimosa del mattino
la gente celebra con risate e con schiamazzi
l’illusoria libertà di un giorno.

da “Formule dell’anima, 2011