Bellezza e armonia (Ita – Fr – Eng – Esp)

Scultura di Antonio Canova, Paolina Borghese

Bellezza e armonia.

Senza la bellezza e senza l‘armonia non c’è felicità. Qualsiasi artista nel comporre, che sia poesia o pittura o scultura o musica ha in sé la tensione a raggiungere la felicità e nell’attimo in cui rimira l’opera appena terminata egli non si accorge d’aver dimenticato la realtà in cui vive quotidianamente e gli stessi suoi pensieri che popolano quella realtà. Ha la sensazione di essere volato in un luogo mai visitato in cui ogni cosa è al posto in cui è stata collocata da sempre e luce aria temperatura tutto è perfetto. Che durata ha questo stato d’animo, molto simile – ora me ne rendo conto – all’estasi? Pochi minuti, intensi e infiniti. Ma rimane per tutto il giorno il profumo, la speranza e la volontà che il miracolo possa e debba ripetersi. Pochi minuti poi si è sopraffatti dal presente e dal passato e torno ad analizzare me stesso le opere già compiute e quella appena conclusa. Dov’è finito tutto quel senso di perfezione percepita in quei pochi minuti? Riguardo l’opera e lo spirito critico che da sempre domina la mia mente mi fa percepire i suoi aculei, mi mostra tutte le imperfezioni dell’opera e tutti i limiti del mio essere, da quelli culturali a quelli caratteriali. Torna l’infelicità come un cielo grigio e un velo grigio che copre l’esistenza tutta.
Sono spariti profumo e volontà.


Beauté et harmonie

Sans beauté et sans harmonie, il n’y a pas de bonheur. Tout artiste en composant, qu’il s’agisse de poésie, de peinture, de sculpture ou de musique, a en lui la tension nécessaire pour atteindre le bonheur et au moment où il admire l’œuvre qui vient de se terminer, il ne se rend pas compte qu’il a oublié la réalité dans laquelle il vit chaque jour et ses propres pensées qui peuplent cette réalité. Il a la sensation d’avoir envolé vers un endroit qu’il n’a jamais visité où tout est à l’endroit où a été placé toujours et lumière, air, température, tout est parfait. Combien de temps dure cet état d’esprit, très proche – je m’en rends compte maintenant – de l’extase ? Quelques minutes intenses et infinies. Mais le parfum, l’espoir et la volonté, que le miracle peut et doit se répéter, demeurent tout au long de la journée. Quelques minutes, puis je suis submergé par le présent et le passé et je recommence à m’analyser, les travaux déjà achevés et celui qui vient d’être achevé. Où est tout ce sentiment de perfection perçu dans ces quelques minutes ? Je me remets à regarder l’œuvre et l’esprit critique qui a toujours dominé mon esprit me fait percevoir ses piquants, me montre toutes les imperfections de l’œuvre et toutes les limites de mon être, de la culture au caractère. Le malheur revient comme un ciel gris et un voile gris qui recouvre toute l’existence.
Le parfum et la volonté ont disparu.


Beauty and harmony

Without beauty and without harmony there is no happiness. Any artist in composing, whether it is poetry or painting or sculpture or music, has within himself the tension to reach happiness and in the moment in which he admires the work just finished he does not realize that he has forgotten the reality in which he lives every day and his own thoughts that populate that reality. He has the sensation of having flown to a place he has never visited where everything is in the place where the creator has always placed it and light, air, temperature, everything is perfect. How long does this state of mind, very similar – I now realize – to ecstasy, last? A few minutes, intense and infinite. But the perfume, the hope and the will that the miracle can and must repeat itself remains throughout the day. A few minutes, then I am overwhelmed by the present and the past and I go back to analyzing myself, the works already completed and the one just completed. Where is all that sense of perfection perceived in those few minutes? I go back to looking at the work and the critical spirit that has always dominated my mind makes me perceive its quills, shows me all the imperfections of the work and all the limits of my being, from cultural to character. Unhappiness returns like a gray sky and a gray veil that covers all of existence.
Perfume and will are gone.


Belleza y armonía

Sin belleza y sin armonía no hay felicidad. Todo artista al componer, ya sea poesía o pintura o escultura o música, lleva dentro de sí la tensión por alcanzar la felicidad y en el momento en que admira la obra recién terminada no se da cuenta de que ha olvidado la realidad en la que vive cada día y sus propios pensamientos que pueblan esa realidad. Tiene la sensación de haber volado a un lugar que nunca ha visitado donde todo está en el lugar donde el creador siempre lo ha colocado y la luz, el aire, la temperatura, todo es perfecto. ¿Cuánto tiempo dura este estado de ánimo, muy similar – ahora me doy cuenta – al éxtasis? Unos minutos, intensos e infinitos. Pero el perfume, la esperanza y la voluntad de que el milagro puede y debe repetirse permanece durante todo el día. Unos minutos, luego me siento abrumado por el presente y el pasado y vuelvo a analizarme a mí mismo, las obras ya terminadas y la recién terminada. ¿Dónde queda toda esa sensación de perfección percibida en esos pocos minutos? Vuelvo a mirar la obra y el espíritu crítico que siempre ha dominado mi mente me hace percibir sus púas, me muestra todas las imperfecciones de la obra y todos los límites de mi ser, desde la cultura hasta el carácter. La infelicidad vuelve como un cielo gris y un velo gris que cubre toda la existencia.
El perfume y la voluntad se han ido.

Leggere scrivere non giudicare

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Dopo aver letto un libro, che sia una raccolta poetica, saggio, romanzo o testo filosofico, mi chiedo se durante la lettura ho elaborato pensieri miei personali o mi sono lasciato rapire dai sentimenti dell’autore, dal suo pensiero, dalla sua vita sino a dimenticare la mia e assumere la sua.

Se insomma ho riflettuto autonomamente, anche se sollecitato, o mi sono affidato a lui illudendomi di riflettere.

Me lo chiedo perché spesso rileggendo, nulla di mio ritorna, nulla che abbia mutato il mio modo di vedere la vita. E allora mi accorgo che ciò che ho provato a prima lettura era un passare da lui a me, come se avesse depositato il suo essere dentro il mio, come si deposita una valigia di un parente caro in un canto e lì rimane chiusa. Un ingombro insomma che resta estraneo se non per il volume che occupa e per quell’aria familiare, spesso affettiva, che lo circonda e che trabocca attraversando il cuoio che ne racchiude il contenuto.

Allo stesso modo guardando la copertina mi dico che l’ho letto e ne sento ancora il profumo e il filo conduttore che mi riconduce all’animo dell’autore e all’argomento trattato.

Aprendo il libro e iniziando nuovamente a leggere, torno a sentirne l’affinità con la mia vita e quel processo di penetrazione che già ho avvertito alla prima lettura. Adesso ho maggiore consapevolezza che è lui a parlare e non io, ne osservo la forma ne misuro la congruità e l’adeguatezza all’argomento, inizio a valutarlo criticamente, conscio che ogni valutazione è soggettiva.

Ma a questo punto sono assalito dal terrore di notare che è esattamente quel che faccio con i miei scritti.

Inizialmente mi sembra d’aver creato un capolavoro, ma rileggendolo, ne esamino la forma, la metto a confronto con il contenuto e, poiché l’ho scritto io, mi accorgo, o ho la presunzione di accorgermi, che è inadeguato alla forza dei sentimenti da cui è stato suscitato.

Provo a ritoccare qua e là, a correggere qualche espressione, a renderla più pregnante.

Ma resta dentro me come un’onda di disperazione per la mia incapacità di esprimermi compiutamente. Un’onda creata dall’immediatezza dei versi scritti.

Riflettendo successivamente su ciò che ho scritto mi accorgo che esiste una parità fra il sentire e la parola scritta, che la forma e l’essenza sono indivisibili, che attraverso le mie parole è possibile conoscere la mia essenza, quella della realtà e del sentire umano.

Non mi chiederò se il mio scritto sarà giudicato dal lettore ma se nel lettore nascerà un rapporto tra il suo sentire e il mio, tra la realtà della sua vita e della mia. Non è al giudizio che presto attenzione. Non può che essere errato. Per giudicare un poeta non basta neppure conoscere la persona.

Ecco perché non sopporto i critici letterari, che siano tradizionali, rivoluzionari o reazionari. Dovrebbero essere dei profeti per poter valutare al di là del presente la validità o meno di un poeta. Essi invece ritengono di possedere una cultura e una conoscenza atemporali. La qual cosa permette loro di separare per mestiere la forma dal contenuto e imbottiscono la prima con il proprio pensiero, trovando così nel poeta in esame (perché di esame si tratta: promosso o bocciato) quel che essi si attendono da un qualsiasi poeta. La formazione non permette loro di abbandonarsi alla possibilità di accettare o rifiutare il rapporto indivisibile fra il sentire e la parola scritta. I critici sanno le accuse che vengono loro rivolte e si mettono al riparo esercitando il loro mestiere solo sui poeti che conoscono personalmente, che fanno parte della loro cerchia, che pertanto non li accuseranno.

Ho notato nei miei lettori la condizione che permette loro di accettare o rifiutare ma non di giudicare, perché per giudicare non basta neppure, come già detto, una profonda conoscenza della persona.

In passato, qualche lettore mi ha giudicato e condannato, sentendosi offeso dal mio modo di pensare. Ha avuto il buon senso di auto esiliarsi dal mio mondo. Ne sono felice e, a distanza di anni, lo ringrazio ancora.

Inutile dire che il più sincero ringraziamento lo rivolgo a tutti coloro che mi seguono, che non mi giudicano, che condividono il mio “sentire” il mondo, anche se spesso mi fanno notare che il loro è molto diverso dal mio.

Lire et écrire ne pas juger

Après avoir lu un livre, que ce soit un recueil poétique, un essai, un roman ou un texte philosophique, je me demande si pendant la lecture j’ai élaboré mes propres pensées ou si je me suis laissé emporter par la pensée de l’auteur, de ses sentiments, de sa vie jusqu’à oublier la mienne et assumer la sienne.

Si en somme j’ai réfléchi ou je me suis confié à lui en me berçant de réfléchir.

Je me le demande parce que souvent, en relisant rien de moi revient, rien qui a changé ma façon de voir la vie. Et alors je m’aperçois que ce que j’ai ressenti en première lecture était un passage de lui à moi, sans qu’il bouleverse ma vie mais ait déposé son être dans le mien, comme on dépose une valise d’un parent cher dans un chant et là elle demeure fermée. Un encombrement qui reste étranger sinon pour le volume qu’il occupe et pour de l’air familier, souvent affectif, qui l’entoure et qui déborde à travers le cuir qui en renferme le contenu.

De la même façon, en regardant la couverture je me dis que je l’ai lu et j’en sens encore le parfum et le fil conducteur qui me ramène à l’âme de l’auteur et au sujet traité. En ouvrant le livre et en recommençant à lire, je ressent à nouveau l’étrangeté avec ma vie et ce processus de pénétration que j’ai déjà ressenti à la première lecture. J’ai maintenant une plus grande conscience que c’est lui qui parle et pas moi, j’en observe la forme, je mesure sa pertinence et son adéquation au sujet, je commence à l’évaluer de manière critique, avec la conscience que chaque évaluation est subjective..

Mais à ce stade, je suis assailli par la peur de remarquer que c’est exactement ce que je fais avec mes écrits.

Au début il me semble avoir écrit le chef-d’œuvre de ma vie, mais en le relisant, j’en examine la forme, je la confronte au contenu et puisque je l’ai écrit, je m’aperçois, ou j’ai la prétention de remarquer, qui est inadapté à la force des sentiments dont il a été suscité.

J’essaie de retoucher ici et là, de corriger certaines expressions, de les rendre plus prégnantes.

Mais cela reste en moi comme une vague de désespoir face à mon incapacité à m’exprimer pleinement. Une vague créée par l’immédiateté des vers écrits.

En réfléchissant ensuite à ce que j’ai écrit, je me rends compte qu’il existe un équilibre entre le sentiment et l’écrit, que la forme et l’essence sont indivisibles, qu’à travers mes paroles, il est possible de connaître mon essence, celle de la réalité et du sentiment humain.

Je ne me demanderai pas si mon écriture sera jugée par le lecteur mais si une relation entre lui et mes sentiments s’établira chez le lecteur, entre la réalité de sa vie et la mienne. Ce n’est pas le jugement auquel je fais attention. Il ne peut être que faux. Pour juger un poète, il ne suffit même pas de connaître la personne.

C’est pour ça que je ne supporte pas les critiques littéraires, qu’ils soient traditionnels, révolutionnaires ou réactionnaires. Ils devraient être prophètes pour pouvoir évaluer la validité ou non d’un poète au-delà du présent. Au lieu de cela, ils croient qu’ils possèdent une culture et des connaissances intemporelles. Ce qui leur permet de séparer, par métier, la forme du contenu et de remplir la première de leurs propres pensées, trouvant ainsi dans le poète soumis à examen (car c’est un examen : réussi ou rejeté) ce qu’ils attendent de tout poète. La formation ne leur permet pas de s’abandonner à la possibilité d’accepter ou de rejeter le rapport indissociable entre le sentiment intérieur et la parole écrite. Les critiques connaissent les accusations qui leur sont portées et se protègent en exerçant leur métier uniquement sur des poètes qu’ils connaissent personnellement, qui font partie de leur entourage, qui ne les accuseront donc pas.

J’ai remarqué chez mes lecteurs la condition qui leur permet d’accepter ou de rejeter mais pas de juger, car une connaissance approfondie de la personne ne suffit même pas. comme j’ai dit, pour juger.

Dans le passé, certains lecteurs m’ont jugé et condamné, se sentant offensés par ma façon de penser. Ils ont eu le bon sens de s’exiler de mon monde. J’en suis heureux et, après des années, je les remercie encore.

Inutile de dire que j’adresse mes remerciements les plus sincères à tous ceux qui me suivent, qui ne me jugent pas, qui partagent mon « ressenti » du monde, même s’il est différent du leur.

Read and write not to judge

After reading a book, whether it is a poetic collection, essay, novel or philosophical text, I wonder if during the reading I have processed my own thoughts or I let myself be kidnapped by the author’s thought, from his feelings, from his life to forget mine and assume his.

In short, if I have reflected or have entrusted myself to him deceiving me to reflect.

I wonder because often, rereading nothing of mine returns, nothing that has changed my way of seeing life. And then I realize that what I felt at first reading was a passing from him to me, without him upsetting my life but had deposited his being inside mine, as a suitcase of a loved one in a song and there remains closed. In short, a clutter that remains extraneous if not for the volume it occupies and for that familiar air, often affective, that surrounds it and overflows through the leather that enclosed its contents.

In the same way, looking at the cover I tell myself that I read it and I can still smell it and the thread that leads me back to the author’s soul and the subject. Opening the book and starting to read again, I return to feel the strangeness with my life and that process of penetration that I already felt at first reading. Now I am more aware that he is talking and not I, I observe the form of it I measure the appropriateness and appropriateness of the subject, I start to evaluate it critically, with the awareness that each evaluation is subjective.

But at this point I am terrified to notice that this is exactly what I do with my writings.
At first, I seem to have written the masterpiece of my life, but rereading it, I examine the form, I compare it with the content and since I wrote it, I realize, or I have the presumption to notice, which is inadequate to the strength of the feelings from which it was aroused.

I try to touch up here and there, to correct certain expressions, to make them more significant.

But it stays me like a wave of despair at my inability to fully express myself. A wave created by the immediacy of the verses written.

Reflecting subsequently on what I have written, I realize that there is an equality between feeling and the written word, that form and essence are indivisible, that through my words it is possible to know my essence, that of reality and of human feeling .

I will not wonder if my writing will be judged by the reader but if a relationship between him and my feelings will be established in the reader, between the reality of his life and mine. This is not the judgment I pay attention to. Every judgment can only be wrong. To judge a poet it is not even enough to know the person.

That’s why I can’t stand literary critics, whether traditional, revolutionary or reactionary. They should be prophets to be able to assess the validity or not of a poet beyond the present. Instead, they believe they possess timeless culture and knowledge. Which allows them to separate, by trade, the form from the content and to fill the former with their own thoughts, thus finding in the poet subjected to examination (because it is an examination: passed or rejected) what they expect from every poet. The training does not allow them to abandon themselves to the possibility of accepting or rejecting the inseparable relationship between the inner feeling and the written word. Critics know the accusations that are made against them and protect themselves by practicing their profession only on poets they know personally, who are part of their circle, who therefore will not accuse them.

I noticed in my readers, the condition that allows them to accept or reject but not to judge, because in order to judge, as already mentioned, a deep knowledge of the person is not enough either.

In the past, some readers have judged and condemned me, feeling offended by my way of thinking. They had the good sense to exile themselves from my world. I am happy about it and, years later, I still thank them.

Needless to say, I extend my most sincere thanks to all those who follow me, who don’t judge me, who share my “feeling” of the world, even if it is different from theirs.

Leer y escribir no juzgar

Después de leer un libro, ya sea una colección poética, ensayo, novela o texto filosófico, me pregunto si durante la lectura he elaborado pensamientos personales o me he dejado llevar por el pensamiento del autor, de sus sentimientos, de su vida hasta olvidar la mía y asumir la suya.

Si he reflexionado o me he confiado a él con la ilusión de pensar.

Me lo pregunto porque a menudo, releyendo nada mío vuelve, nada que haya cambiado mi forma de ver la vida. Y entonces me doy cuenta de que lo que probé en primera lectura era pasar de él a mí, sin que él perturbara mi vida pero hubiera depositado su ser dentro del mío, como se deposita una maleta de un pariente querido en un canto y allí queda cerrada. En resumen, una huella que es extraña si no por el volumen que ocupa y por el aire familiar, a menudo afectivo, que lo rodea y que desborda atravesando el cuero que encierra su contenido.

De la misma manera, mirando la portada me digo que lo he leído y todavía siento su perfume y el hilo conductor que me lleva al alma del autor y al tema tratado. Al abrir el libro y comenzar a leer de nuevo, vuelvo a sentir su extrañeza con mi vida y el proceso de penetración que ya sentí en la primera lectura. Ahora tengo mayor conciencia de que es él quien habla y no yo, observo su forma y mido su congruencia y adecuación al tema, comienzo a evaluarlo críticamente.

Pero en este punto me aterroriza notar que es exactamente lo que hago con mis escritos.

Al principio, me parece haber escrito la obra maestra de mi vida, pero releyéndolo, examino su forma, la comparo con el contenido y como lo he escrito yo, me doy cuenta, o tengo la presunción de darme cuenta, que es inadecuado a la fuerza de los sentimientos por los que ha sido suscitado.

Intento retocar aquí y allá, corregir algunas expresiones, hacerlas más eficaces.

Pero permanece dentro de mí como una ola de desesperación por mi incapacidad para expresarme plenamente. Una ola creada por la inmediatez de los versos escritos.

Luego reflexionando sobre lo que he escrito, me doy cuenta de que existe una igualdad entre el sentimiento y la palabra escrita, que forma y esencia son indivisibles, que a través de mis palabras es posible conocer mi esencia, la de la realidad y la del sentimiento humano.

No me preguntaré si mi escritura será juzgada por el lector sino si surgirá en el lector una relación entre él y mis sentimientos, entre la realidad de su vida y la mía. No es el juicio al que presto atención. Solo puede estar mal. Para juzgar a un poeta no basta ni siquiera con conocer a la persona.

Por eso no soporto a los críticos literarios, ya sean tradicionales, revolucionarios o reaccionarios. Deben ser profetas para poder evaluar la vigencia o no de un poeta más allá del presente. En cambio, creen que poseen una cultura y un conocimiento atemporales. Lo que les permite separar, por profesión la forma del contenido y llenar la primera con sus propios pensamientos, encontrando así en el poeta examinado (porque estamos ante un examen: aprobado o rechazado) lo que esperan de cualquier poeta. La formación no les permite abandonarse a la posibilidad de aceptar o rechazar la relación indivisible entre el sentir y la palabra escrita. Los críticos conocen las acusaciones que se hacen contra ellos y se protegen ejerciendo su oficio sólo sobre los poetas que conocen personalmente, que forman parte de su círculo, quienes por tanto no los acusarán.

He notado en mis lectores la condición que les permite aceptar o rechazar pero no juzgar, porque un conocimiento profundo de la persona no alcanza ni siquiera para juzgar, como ya he dicho.

En el pasado, algunos lectores me han juzgado y condenado, sintiéndose ofendidos por mi forma de pensar. Ellos pero han tenido el buen sentido de autoexiliarse de mi mundo. Estoy feliz por eso y, años después, todavía lo agradezco.

Ni que decir tiene que extiendo mi más sincero agradecimiento a todos aquellos que me siguen, que no me juzgan, que comparten mi “sentir” el mundo, aunque sea diferente al de ellos.

No mimose (Ita – Fr – Eng – Esp)

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Oggi faccio gli auguri a modo mio alle donne alle amiche alle amanti, alle sorelle e alle mamme non con i fiori delle mimose ma con le stelle luminose dei loro splendidi cieli, azzurri e sereni, grigi o nuvolosi, a volte tempestosi a volte spogli e silenziosi ma sempre profumati di vita.

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Pas de mimosa

Aujourd’hui, j’envoie mes meilleurs vœux aux femmes, amies, amantes, sœurs et mères, non pas avec des fleurs de mimosa mais avec les étoiles brillantes de leurs ciels splendides, bleus et sereins, gris ou nuageux, parfois orageux, parfois nus et silencieux mais toujours parfumés de vie.

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No mimosas

Today I send my best wishes to women, friends, lovers, sisters and mothers, not with mimosa flowers but with the bright stars of their splendid skies, blue and serene, gray or cloudy, sometimes stormy, sometimes bare and silent but always perfumed of life.

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Sin mimosas

Hoy envío mis mejores deseos a las mujeres, amigas, amantes, hermanas y madres, no con flores de mimosa sino con las brillantes estrellas de sus espléndidos cielos, azules y serenos, grises o nublados, a veces tormentosos, a veces desnudos y silenciosos pero siempre perfumados de vida.

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ChatGPT (Poesia – Poème – Poem – Poema)

Ologramma tratto da youtube per ChatGPT

ChatGPT è una intelligenza artificiale generativa che consente di porre domande e di ricevere risposte molto articolate, come se provenissero da un essere umano, dotato di una cultura sconfinata che va dalla scienza all’arte, con la capacità di rispondere (scrivendo anche poesie attinte dalle parole già scritte dai poeti di tutti i tempi) e di “creare” fiabe che contengono un finale educativo.
Non ho paura di questa nuova forma di elaborazione dei dati, ma mi spiacerebbe se si scambiasse per poesia i versi scritti da questa intelligenza artificiale. Essa resta pur sempre una macchina senza sentimenti, dotata soltanto della capacità di attingere a tutto ciò che è stato e continua ad essere diffuso su internet (senza tuttavia saper distinguere il vero dal falso).
A questo proposito vorrei ricordare che, tanti anni fa, esistevano dei manuali per scrivere lettere d’amore e d’affari. I servizi offerti da questa intelligenza, sono simili a quelli offerti da quei manuali: freddezza e qualunquismo.
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ChatGPT

Ascolta mio cuore,
non basta la vita che scorre
e accresce il timore dell’oblio.
Ancora una nuova minaccia
per noi che ripetiamo
nel linguaggio dei sentimenti
l’esuberanza della natura
i piaceri e i dolori degli amori vissuti,
nella follia della bellezza
cerchiamo
la ragione dell’esistenza
piangiamo e lottiamo
contro le ingiustizie e le guerre.
Voci senza timbro giungono
dalla macchina priva di bocca
e le orbite cave
hanno la forma di orecchie.
La sua memoria opaca
sfoglia il passato con indifferenza
lo trasforma in maschere di vita
offre agli amanti parole
già riversate dai cuori dei poeti.
Non sono loro
i nostri compagni e maestri
che ci accompagnano come angeli laici
in salvo tra le bufere dell’animo?
Non sono loro che trasformano
le nostre pene in dolce malinconia?
Sono loro che morti soffrono
del cieco utilizzo dei sentimenti.
A loro che furono
costruttori d’immagini palpitanti
e di passioni ineguagliabili
il sole è come il rovescio della luna.
Sentono nel grigiore della nebbia
stormi di uccelli che zoppicano
sui campi di pietre
dove giacciono sepolte le loro ossa
per essere estratte e tagliate
come diamanti da strumenti insensibili.
E su prati vitrei i fiori
privi di nettare e profumo
lasciano cadere i petali
come foglie bruciate dal gelo.
Alberi senza linfa mostrano in alto
le radici dei morti rivestite da grumi
di polvere e ricoperte d’oro.
Mi guardo allo specchio e le mie labbra
chiudono la ferita che sanguina
al di sopra del mento,
le mie dita sono steli rigidi
che porto agli occhi
per fermare lunghi rivoli
di terra lungo le guance.
Perché piango? O rido tragicamente
della memoria umana
a cui hanno strappato tutte le pagine?
Quel che era un cuore
è il cadavere senza polpa di un agnello
scorticato da parole come coltelli privi di lama.
E l’amore muove senza passione
il cervello della macchina
assemblata da infinite maschere.


ChatGPT est une intelligence artificielle générative qui nous permet de poser des questions et de recevoir des réponses très articulées, comme si la réponse était d’un être humain, doté d’une culture illimitée qui va de la science à l’art, avec la capacité de répondre (même en écrivant des poèmes tirés de les mots déjà écrits par les poètes de tous les temps) et de “créer” des contes de fées qui contiennent une fin éducative.
Je n’ai pas peur de cette nouvelle forme d’intelligence, mais je serais désolé si les vers écrits par cette intelligence artificielle étaient confondus avec de la poésie. Cela reste tout de même une machine sans sentiments, dotée uniquement de la capacité de puiser dans tout ce qui a été et continue d’être répandu sur internet (sans distinguer le vrai du faux).
À cet égard, je voudrais rappeler qu’il y a de nombreuses années, il existait des manuels pour écrire des lettres d’amour et d’affaires. Les services offerts par cette intelligence sont similaires à ceux offerts par ces manuels : froideur et indifférence.

Chat GPT

Écoute, mon cœur
ça ne suffit pas la vie qui coule
et augmente la peur de l’oubli.
Encore une nouvelle menace
pour nous qui répétons
avec le langage des sentiments
l’exubérance de la nature
les plaisirs et les peines des amours vécus
qui cherchons dans la folie
de la beauté la raison d’être
qui pleurons et luttons
contre les injustices et les guerres.
Des voix sans timbre sortent
de la machine sans bouche
et les orbites creuses
ont la forme d’oreilles.
Sa mémoire opaque
parcourt le passé avec indifférence
le transforme en masques de vie
offre aux amoureux des mots
déjà déversés du cœur des poètes.
Ne sont-ils pas nos compagnons et nos maîtres
qui nous accompagnent comme des anges laïcs
à l’abri des tempêtes de l’âme ?
Ne sont-ils pas qui transforment
nos peines en douce mélancolie ?
Ce sont eux, qui morts souffrent
de l’usage aveugle des sentiments.
Pour eux qui bâtissaient
des images palpitantes
et des passions incomparables
le soleil est comme le revers de la lune.
Ils entendent dans le gris de la brume
des nuées d’oiseaux boitant
sur les champs de pierre
où leurs ossements reposent ensevelis
pour être extraits et taillés
comme des diamants par des outils insensibles.
Et sur les prairies vitreuses les fleurs
dépourvues de nectar et de parfum
laissent tomber leurs pétales
comme des feuilles brûlées par le gel.
Des arbres sans sève montrent en haut
des racines des morts couvertes de mottes
de poussière et recouvertes d’or.
Je me regarde dans le miroir et mes lèvres
referment la plaie saignante
au-dessus de mon menton
mes doigts sont des tiges raides
que j’apporte à mes yeux
pour arrêter des filets
de terre le long de mes joues.
Pourquoi suis-je en train de pleurer?
Ou est-ce que je ris tragiquement
de le mémoire humane
dont toutes les pages ont été arrachées ?
Ce qui était un cœur
est le cadavre sans pulpe d’un agneau
écorché par des mots comme des couteaux sans lame.
Et l’amour remue sans passion
le cerveau de la machine
assemblée de masques infinis.

ChatGPT is a generative artificial intelligence that allows us to ask questions and receive very articulated answers, as if the answer were of a human being, endowed with a unlimited culture that goes from science to art, with the ability to answer (even writing poems drawn from the words already written by poets of all times) and to “create” fairy tales that contain an educational ending.
I’m not afraid of this new form of data processing, but I would hate if the verses written by this artificial intelligence were mistaken for poetry. It still remains a machine without feelings, endowed only with the ability to draw on everything that has been and continues to be spread on the internet (without distinguishing the true from the false).
In this regard, I would like to remind you that, many years ago, there were manuals for writing love and business letters. The services offered by this intelligence are similar to those offered by those manuals : coldness and indifference.

GPT Chat

Listen up, my heart
it’s not enough the life that flows
and increases the fear of oblivion.
Again a new threat to us repeating
in the language of feelings
the exuberance of nature
the pleasures and pains of loves lived
in the madness of beauty
seeking the reason for being,
crying and fighting
against injustices and wars.
Toneless voices come out
of the mouthless machine
and the hollow sockets
are shaped like ears.
His opaque memory
roams the past with indifference
transforming it into masks of life
offers to lovers words
already poured out from the hearts of poets.
Aren’t they our companions and masters
who accompany us like lay angels
safe in the storms of the soul?
Aren’t they who transform
our sorrows in sweet melancholy?
It is they who dead suffer
of the blind use of feelings.
To them who built thrilling images
and incomparable passions
the sun is like the back of the moon
They hear in the gray mist
clouds of birds limping
on the fields of stone
where their bones lie buried
to be extracted and cut
like diamonds by callous tools.
And on the glassy meadows the flowers
devoid of nectar and fragrance
drop their petals like frost-scorched leaves.
Sapless trees show above
the roots of the dead covered in clumps
of dust and gold.
I look in the mirror and my lips
that close the bleeding wound
above my chin,
my fingers are stiff rods
that I bring to my eyes
to stop long threads
of dirt along my cheeks.
Why am I crying? Or am I laughing tragically
at human memory
from which all the pages have been torn out?
What was a heart
is the corpse without pulp of a lamb
flayed by words like bladeless knives.
And love stirs without passion
the brain of the machine assembled
from infinite masks.

ChatGpt es una inteligencia artificial generativa que nos permite hacer preguntas y recibir respuestas muy articuladas, como si la respuesta fuera de un ser humano, dotado de una cultura ilimitada que va de la ciencia al arte, con la capacidad de contestar (incluso escribir poemas tomados de las palabras ya escritas por poetas de todos los tiempos) y “crear” cuentos de hadas que contengan un final educativo.
No le tengo miedo a esta nueva forma de procesamiento de datos, pero desearía que los versos escritos por esta inteligencia artificial no se confundan con poesía. Sin embargo, ela sigue siendo una máquina sin sentimientos, dotada únicamente de la capacidad de recurrir a todo lo que se ha difundido y se sigue difundiendo en internet (sin distinguir lo verdadero de lo falso) .
En este sentido, me gustaría recordar que, hace muchos años, existían manuales para escribir cartas de amor y de negocios. Los servicios que ofrece esta inteligencia son similares a los que ofrecen aquellos manuales: frialdad e indiferencia.

Chat GPT

Escucha, mi corazón
no basta, la vida que fluye
y aumenta el miedo al olvido.
Otra nueva amenaza más
para nosotros que repetimos
en el lenguaje de los sentimientos
la exuberancia de la naturaleza
los placeres y dolores de amores vividos
en la locura de la belleza
buscamos la razón de existir,
lloramos y luchamos
contra las injusticias y las guerras.
De la máquina sin boca salen
voces sin timbre y las cuencas huecas
tienen forma de orejas.
Su memoria opaca
hojea el pasado con indiferencia
lo transforma en máscaras de vida
ofrece a los amantes palabras
ya vertidas del corazón de los poetas.
¿No son ellos nuestros compañeros y maestros
que nos acompañan como ángeles laicos
a salvo en las tormentas del alma?
¿No son ellos, los que transforman
nuestras penas en dulce melancolía?
Son ellos, los que muertos sufren
del uso ciego de los sentimientos.
A ellos qui fueron
constructores de imágenes palpitantes
y de pasiones incomparables
el sol es como el reverso de la luna.
Oyen en el gris de la niebla
bandadas de pájaros cojeando
sobre los campos de piedra
donde sus huesos yacen enterrados
para ser extraídos y cortados
como diamantes con herramientas. insensible.
Y sobre prados vidriosos las flores
desprovistas de néctar y perfume
dejan caer sus pétalos
como hojas quemadas por la escarcha.
Árboles sin savia mostran arriba
las raíces de los muertos cubiertos de terrones
de polvo y de oro.
Me miro en el espejo y mis labios
cierran la herida sangrante
arriba de mi barbilla,
mis dedos son tallos rígidos
que llevo a mis ojos
para detener largos chorros
de tierra por mis mejillas.
¿Porqué estoy llorando? ¿O río trágicamente
de memoria humana
a la que le han arrancado todas las páginas?
Lo que fue un corazón
es el cadáver sin pulpa de un cordero
desollado por las palabras como cuchillos sin hoja.
Y el amor mueve sin pasión
el cerebro de la máquina ensamblada
a partir de infinitas máscaras.

La mia ricerca (Ita – Fr – Eng – Esp)

digitalArt di Marcello Comitini

La mia ricerca

Un amico, che mi conosce da quando avevo venti anni, mi dice che la mia è stata ed è una vita di ricerca dell’assoluto, dalla ricerca di Dio alla ricerca della perfezione, tutti e due compiti estremi.

Mi fa anche notare che forse è più facile trovare Dio che la perfezione umana, perché io cercavo e cerco un essere umano di forma perfetta e di mente e di animo sublime; che lì stava il limite della mia ricerca, in quanto essere umano non poteva essere perfetto e, se anche lo era, si sarebbe corrotto, vuoi nel corpo vuoi nello spirito; che il senso di una lotta interiore senza fine può essere portata a compimento solo dalla morte.; che questa aspirazione “inumana” è valsa a rendere difficili quando non impossibili i miei rapporti con gli altri.

Il peggio è – conclude infine questo amico – che con la mia sensibilità, la mia intelligenza, il mio interesse per gli altri, avrei potuto dare grandi cose al mondo.

Il mio vero problema è che la ricerca della perfezione non è stata una mia scelta, non è stato un qualcosa cercato in contrapposizione a qualcos’altro, ma l’unica strada, che vedevo davanti a me, assegnata all’uomo, assegnata forse da Dio forse da quel che pensavo fosse la natura umana.

Cosa si pensa da giovani? Si pensa che l’amore si possa corrompere?

Io no, io pensavo che l’amore fosse una meta raggiungibile e non soggetta a deterioramento. Ingenuità e inesperienza, senza dubbio, ma ingenuità e inesperienza non sono cose che si scelgono. Forse altri, più consapevoli di me, adesso giudicano un errore il mio agire.

Nonostante tutto, nonostante il mio isolarmi dagli altri, nonostante i miei momenti di scoramento, ho sempre la certezza che ho dato grandi cose al mondo.

Non importa che il mondo me lo riconosca, importa che io, col mio tormentarmi indichi la strada da percorrere, se non altro come scarto da quella che ho percorso io.


Ma recherche

Un ami, qui me connaît depuis que j’ai vingt ans, me dit que ma vie a été et est une vie de recherche de l’absolu, de la recherche de Dieu à la recherche de la perfection, toutes deux tâches extrêmes.

Il me fait également remarquer qu’il est peut-être plus facile de trouver Dieu que la perfection humaine, parce que je cherchais et cherche un être humain de forme parfaite et d’esprit et d’âme sublime; que là se trouvait la limite de ma recherche, en tant qu’être humain ne pouvait pas être parfait et, s’il l’était, il serait corrompue, soit dans le corps soit dans l’esprit; que le sens d’une lutte intérieure sans fin ne peut être accomplie que par la mort ; que cette aspiration “inhumaine” a permis de rendre difficiles, voire impossibles, mes rapports avec les autres.

Le pire est – conclut enfin cet ami – qu’avec ma sensibilité, mon intelligence, mon intérêt pour les autres, j’aurais pu donner de grandes choses au monde.

Mon vrai problème est que la recherche de la perfection n’a pas été mon choix, ce n’était pas quelque chose recherché en opposition à autre chose, mais la seule voie, que je voyais devant moi, assignée à l’homme, peut-être assignée par Dieu peut-être par ce que je pensais être la nature humaine.

Que pense-t-on quand on est jeune ? On pense que l’amour peut être corrompu ?

Moi non, je pensais que l’amour était une destination accessible et non sujette à détérioration. Naïveté et inexpérience, sans doute, mais la naïveté et l’inexpérience ne sont pas des choses que l’on choisit. Peut-être que d’autres, plus conscients de moi, jugent maintenant que mon action est une erreur.

Malgré tout, malgré mon isolement des autres, malgré mes moments de découragement, j’ai toujours la certitude que j’ai donné de grandes choses au monde.

Peu importe que le monde me le reconnaisse, il importe que moi, avec mes tourments, je montre le chemin à parcourir, ne serait-ce que comme un écart par rapport à ce que j’ai parcouru.


My search

A friend, who has known me since I was twenty years old, tells me that my life has been and is a life of seeking the absolute, of seeking God in search of perfection, both extreme tasks. He also points out to me that it is perhaps easier to find God than human perfection, because I sought and seek a human being of perfect form and of sublime spirit and soul; that there was the limit of my search, as a human being could not be perfect and, if he were, he would be corrupt, either in the body or in the spirit; that the sense of an endless inner struggle can only be fulfilled through death; that this “inhuman” aspiration has made it difficult, my relationship with others.

The worst is – finally concludes this friend – that with my sensitivity, my intelligence, my interest in others, I could have given great things to the world.

My real problem is that the pursuit of perfection was not my choice, it was not something sought in opposition to something else, but the only path I saw before me assigned to man, perhaps assigned by God perhaps may-be by what I thought was human nature.

What do we think when we are young? We think that love can be corrupted?

I did not, I thought that love was an accessible destination and not subject to deterioration. Naivety and inexperience, no doubt, but naivety and inexperience are not things one chooses.

Perhaps others, more aware of me, now consider my action a mistake. Despite everything, in spite of my isolation from others, in spite of my moments of discouragement, I still have the certainty that I have given great things to the world.

No matter how much the world recognizes me, it is important that I, with my torments, show the way to go, even as a waste from what I have walked.


Mi búsqueda

Un amigo, que me conoce desde que tenía veinte años, me dice que la mía ha sido y es una vida de búsqueda de lo absoluto, desde la búsqueda de Dios hasta la búsqueda de la perfección, ambas tareas, extremas.

También me hace notar que tal vez sea más fácil encontrar a Dios que la perfección humana, porque eso yo buscaba y busco es un ser humano de forma perfecta de mente y alma sublime; que allí estaba el límite de mi búsqueda, en cuanto ser humano no podía ser perfecto y, si lo fuera, se habría corrompido, en el cuerpo o en el espíritu; que el sentido de una lucha interior sin fin solo puede ser llevada a cabo por la muerte. ; que esta aspiración “inhumana” ha servido para hacer difíciles, cuando no imposibles, mis relaciones con los demás.

Lo peor es – concluye este amigo – que con mi sensibilidad, mi inteligencia, mi interés por los demás, podría haber dado grandes cosas al mundo.

Mi verdadero problema es que la búsqueda de la perfección no fue mi elección, no fue algo buscado en contraposición a otra cosa, sino el único camino que vi ante mí asignado al hombre, asignado quizás por Dios quizás por lo que yo pensaba que era la naturaleza humana.

¿Qué piensas cuando eres joven? ¿Crees que el amor puede corromperse?

Yo no, yo pensaba que el amor era una meta alcanzable y no sujeta a deterioro. Ingenuidad e inexperiencia, sin duda, pero ingenuidad e inexperiencia no son cosas que uno elige. Quizás otros, más conscientes de mí, ahora juzgan un error mi actuar.

A pesar de todo, a pesar de mi aislamiento de los demás, a pesar de mis momentos de desaliento, siempre tengo la certeza de que he dado grandes cosas al mundo.

No importa que el mundo me lo reconozca, importa que yo, con mi tormento, señale el camino a recorrer, al menos como desviación de la que he recorrido yo.

Libertà con (Ita – Fr – Eng – Esp)

Nel post precedente “Degrado morale”tutti abbiamo convenuto che la libertà scandalizza chi rimane legato ai vecchi schemi sociali e ritiene questa nostra società come moralmente disgregata.
Il problema però è che essa appare disgregata anche a molti di noi. Perché? Perché è evidente che la liberazione da quei legami che tenevano forzatamente coesa la società ha prodotto e ancora produce disordine e disorientamento. Il punto decisivo allora consiste nel discernimento di quel valore per noi assoluto che chiamiamo libertà. In che cosa propriamente consiste?
La libertà è un processo. Non è uno stato, è una serie di stati, per la precisione quattro, collegati tra loro secondo una specifica dinamica. In primo luogo occorre considerare che ognuno di noi procede sempre da una condizione di servitù perché non nasciamo liberi, liberi lo possiamo solo diventare e non è per nulla scontato riuscirci. Per questo la libertà si dice anzitutto come “libertà da”, come “liberazione”. Ebbene, io penso che noi giuridicamente abbiamo acquisito questo primo stadio del processo della libertà, avendo conquistato la liberazione dal controllo rappresentato a livello familiare dal pater familias e a livello sociale dalla censura della Chiesa e dello Stato spesso coordinati tra loro (il fenomeno si chiama cesaropapismo e la coppia Putin-Kirill ne è un fulgido esempio). Noi stiamo sperimentando il nostro essere liberi dai gravami che opprimevano l’individuo nella sua affettività e nel suo pensiero
Questo però è solo il primo stadio della libertà. Il secondo è definibile come “libertà di”, come possibilità di scegliere, e io penso sia questa la condizione in cui ci troviamo: liberi dalle tutele del passato, oggi possiamo scegliere. Ma che cosa di fatto scegliamo? Ciò che appare è che ognuno sceglie se stesso, la propria realizzazione, il proprio benessere, il proprio successo. La scomparsa del super-ego produce logicamente un ego super: ipertrofico, ingrassato, vorace, che non mira ad altro se non a se stesso. Il risultato è la mancanza di legami solidi con gli altri e lo sfilacciamento della struttura sociale. È da qui che procede il sentimento di disgregazione morale di cui ha parlato propagandisticamente Putin ma avvertito esistenzialmente anche da molti di noi.
Per superare questa condizione occorre giungere al terzo stadio della libertà, descrivibile come “libertà per”, cioè il momento nel quale la singola libertà intravede qualcosa di più importante di sé e liberamente vi si dedica. Si può nominare in vari modi questo “qualcosa”, per esempio giustizia, verità, amore, divinità, bellezza, bene comune. Essenziale è che la libertà si spenda liberamente per altro da sé, perché solo così riproduce la legge della vita che è la relazione e la società può tornare a essere quello che indica il suo nome e non una massa amorfa di estranei in competizione tra loro.
La sessualità è il luogo nel quale la persona dice “io sono mia”, come rivendicavano le femministe. Ma è anche il luogo nel quale la persona, se ama, dice all’altro: “Io sono tua”, “io sono tuo”. Ed è felice di poterlo dire. Anzi, io penso che ognuno di noi viva per giungere a dire e a sentirsi dire queste parole. È il fenomeno dell’amore, di cui abbiamo esperienza nella vita individuale e che dovremmo riuscire a realizzare anche nella vita sociale ritrovando un ideale più grande del nostro interesse a cui dire “io sono tuo”, “io sono tua”, e rendendo possibile la ricostruzione della società in quanto “insieme di persone”. Così si tocca il quarto e ultimo stadio del processo della libertà, cioè la “libertà con”.
E a questa libertà dobbiamo giungerci massicciamente, e urgentemente, perché ne va del nostro destino. 

LIBERTÉ AVEC
Dans le post précédent “Dégradation morale”, nous étions tous d’accord pour dire que la liberté scandalise ceux qui restent attachés aux anciens schémas sociaux et considèrent notre société comme moralement désintégrée.
Le problème, cependant, est qu’elle apparaît également désintégrée à beaucoup d’entre nous. Pouquoi? Parce qu’il est évident que la libération de ces liens qui maintenaient de force la société ensemble a produit et produit encore désordre et désorientation. Le point décisif consiste alors à discerner cette valeur absolue pour nous que nous appelons liberté. En quoi consiste-t-il exactement ?
La liberté est un processus. Ce n’est pas un état, c’est une série d’états, quatre pour être précis, reliés les uns aux autres selon une dynamique spécifique. En premier lieu il faut considérer que chacun de nous procède toujours d’une condition de servitude car on ne naît pas libre, on ne peut que devenir libre et il n’est pas du tout évident de réussir. C’est pourquoi la liberté se dit avant tout comme « libération de », comme « libération ». Eh bien, je pense que nous avons juridiquement acquis cette première étape du processus de liberté, ayant conquis la libération du contrôle représenté au niveau familial par le pater familias et au niveau social par la censure de l’Église et de l’État souvent coordonnée les uns avec les autres (le phénomène s’appelle le césaropapisme et le couple Poutine-Kirill en est un brillant exemple). Nous faisons l’expérience d’être libérés des fardeaux qui opprimaient l’individu dans son affectivité et dans ses pensées
Mais ce n’est que la première étape de la liberté. La seconde peut être définie comme la « liberté de », comme la possibilité de choisir, et je pense que c’est la condition dans laquelle nous nous trouvons : libres des protections du passé, nous pouvons aujourd’hui choisir. Mais que choisissons-nous réellement ? Ce qui apparaît, c’est que chacun se choisit lui-même, son propre épanouissement, son propre bien-être, sa propre réussite. La disparition du surmoi produit logiquement un surmoi : hypertrophique, engraissé, vorace, qui ne vise que lui-même. Le résultat est le manque de liens solides avec les autres et l’effilochage de la structure sociale. C’est de là que vient aussi le sentiment de désintégration morale dont parlait Poutine de manière propagandiste mais ressenti existentiellement par beaucoup d’entre nous.
Pour surmonter cette condition, il est nécessaire d’atteindre la troisième étape de la liberté, qui peut être qualifiée de “liberté pour”, c’est-à-dire le moment où la liberté individuelle entrevoit quelque chose de plus important qu’elle-même et s’y consacre librement. Ce « quelque chose » peut être appelé de diverses manières, par exemple justice, vérité, amour, divinité, beauté, bien commun. Il est essentiel que la liberté se dépense librement pour autre chose que soi-même, car ce n’est qu’ainsi qu’elle peut reproduire la loi de la vie qui est la relation et la société peut redevenir ce que son nom l’indique et non une masse amorphe d’étrangers en concurrence les uns avec les autres. autre.
La sexualité est le lieu où la personne dit « je suis à moi », comme le prétendaient les féministes. Mais c’est aussi le lieu où la personne, si elle aime, dit à l’autre : « je suis à toi ». Et il est heureux de pouvoir le dire. En effet, je pense que chacun de nous vit pour pouvoir dire et entendre ces mots. C’est le phénomène de l’amour, que nous vivons dans la vie individuelle et que nous devrions pouvoir réaliser aussi dans la vie sociale en trouvant un idéal supérieur à notre intérêt auquel dire “je suis à toi”, et et rendant possible la reconstruction de la société en tant que “groupe de personnes”. Nous touchons ainsi la quatrième et dernière étape du processus de liberté, c’est-à-dire la « liberté avec ».
Et nous devons atteindre cette liberté massivement, et de toute urgence, car notre destin est en jeu.

FREEDOM WITH

In the previous post “Moral degradation” we all agreed that freedom scandalizes those who remain tied to old social patterns and consider our society as morally disintegrated.
The problem, however, is that she also appears disintegrated to many of us. Because? Because it is evident that the liberation from those bonds that forcibly held society together has produced and still produces disorder and disorientation. The decisive point then consists in discerning that absolute value for us that we call freedom. What exactly does it consist of?
Freedom is a process. It is not a state, it is a series of states, four to be precise, connected to each other according to a specific dynamic. First of all, it is necessary to consider that each of us always proceeds from a condition of servitude because we are not born free, we can only become free and it is not at all obvious to succeed. This is why freedom is said above all as “freedom from”, as “liberation”. Well, I think that we have juridically acquired this first stage of the process of freedom, having conquered the liberation from the control represented at the family level by the pater familias and at the social level by the censorship of the Church and the State often coordinated with each other (the phenomenon is called caesaropapism and the Putin-Kirill couple is a shining example). We are experiencing our being free from the burdens that oppressed the individual in his affectivity and in his thoughts
But this is only the first stage of freedom. The second can be defined as “freedom of”, as the possibility of choosing, and I think this is the condition in which we find ourselves: free from the protections of the past, today we can choose. But what do we actually choose? What appears is that everyone chooses himself, his own fulfillment, his own well-being, his own success. The disappearance of the super-ego logically produces a super ego: hypertrophic, fattened, voracious, which aims at nothing but itself. The result is the lack of solid bonds with others and the fraying of the social structure. It is from here that the sentiment of moral disintegration that Putin spoke of propagandistically but felt existentially by many of us also proceeds.
To overcome this condition it is necessary to reach the third stage of freedom, which can be described as “freedom for”, that is, the moment in which the individual freedom glimpses something more important than itself and freely dedicates itself to it. This “something” can be called in various ways, for example justice, truth, love, divinity, beauty, common good. It is essential that freedom is freely spent on something other than oneself, because only in this way can it reproduce the law of life which is relationship and society can go back to being what its name indicates and not an amorphous mass of strangers competing with each other.
Sexuality is the place where the person says “I am mine”, as the feminists claimed. But it is also the place where the person, if she loves, says to the other: “I am yours”. And he is happy to be able to say it. Indeed, I think that each of us lives in order to be able to say and hear these words. It is the phenomenon of love, which we experience in individual life and which we should be able to achieve in social life as well by finding an ideal greater than our interest to which to say “I am yours”, and making possible the reconstruction of society as a “group of people”. Thus we touch the fourth and last stage of the process of freedom, that is, “freedom with”.
And we must reach this freedom massively, and urgently, because our destiny is at stake.

LIBERTAD CON

En el post anterior “Degradación moral” todos coincidimos en que la libertad escandaliza a quienes siguen atados a viejos patrones sociales y consideran a nuestra sociedad como moralmente desintegrada.
El problema, sin embargo, es que esa también nos parece desintegrada a muchos de nosotros. ¿Porque? Porque es evidente que la liberación de aquellos lazos que mantenían unida a la sociedad por la fuerza ha producido y produce desorden y desorientación. El punto decisivo consiste entonces en discernir ese valor absoluto para nosotros que llamamos libertad. ¿En qué consiste exactamente?
La libertad es un proceso. No es un estado, es una serie de estados, cuatro para ser precisos, conectados entre sí según una dinámica específica. En primer lugar hay que considerar que cada uno de nosotros procede siempre de una condición de servidumbre porque no nacemos libres, sólo podemos llegar a ser libres y no es nada obvio que lo logremos. Por eso la libertad se dice ante todo como “libertad de”, como “liberación”. Pues bien, creo que hemos adquirido jurídicamente esta primera etapa del proceso de libertad, habiendo conquistado la liberación del control representado a nivel familiar por el pater familias y a nivel social por la censura de la Iglesia y el Estado muchas veces coordinada entre sí (el fenómeno se llama cesaropapismo y la pareja Putin-Kirill es un brillante ejemplo). Estamos experimentando nuestro ser libres de las cargas que oprimían al individuo en su afectividad y en su pensamiento
Pero esta es sólo la primera etapa de la libertad. La segunda se puede definir como “libertad de”, como posibilidad de elegir, y creo que esa es la condición en la que nos encontramos: libres de las protecciones del pasado, hoy podemos elegir. Pero, ¿qué elegimos en realidad? Lo que aparece es que cada cual se elige a sí mismo, su propia realización, su propio bienestar, su propio éxito. La desaparición del superyó produce lógicamente un superyó: hipertrófico, engordado, voraz, que no apunta a nada más que a sí mismo. El resultado es la falta de vínculos sólidos con los demás y el desgaste de la estructura social. De aquí también procede el sentimiento de desintegración moral del que Putin hablaba propagandísticamente pero que muchos de nosotros sentimos existencialmente.
Para superar esta condición es necesario llegar a la tercera etapa de la libertad, que puede describirse como “libertad para”, es decir, el momento en que la libertad individual vislumbra algo más importante que ella misma y se dedica libremente a ello. Este “algo” puede llamarse de varias maneras, por ejemplo, justicia, verdad, amor, divinidad, belleza, bien común. Es fundamental que la libertad se gaste libremente en algo distinto de uno mismo, porque sólo así puede reproducir la ley de la vida que es la relación y la sociedad puede volver a ser lo que su nombre indica y no una masa amorfa de extraños compitiendo entre sí. otro.
La sexualidad es el lugar donde la persona dice “soy mía”, como decían las feministas. Pero también es el lugar donde la persona, si ama, le dice al otro: “soy tuyo” Y está feliz de poder decirlo. Al contrario, pienso que cada uno de nosotros vive para poder decir y escuchar estas palabras. Es el fenómeno del amor, que experimentamos en la vida individual y que también deberíamos poder realizar en la vida social encontrando un ideal superior a nuestro interés al que decir “soy tuyo”, y haciendo posible la reconstrucción de la sociedad como un “grupo de personas”. Tocamos así la cuarta y última etapa del proceso de la libertad, es decir, la “libertad con”.
Y esa libertad debemos alcanzarla masiva y urgentemente, porque está en juego nuestro destino.

Degrado morale (Ita – Fr – Eng – Esp)

Dal web

Nel discorso per la solenne parata sulla piazza Rossa di Mosca di qualche giorno fa il presidente russo Vladimir Putin ha qualificato la condizione dell’Occidente “degrado morale”. Tralascio l’ovvia obiezione secondo cui egli è l’ultimo a poter parlare di morale dopo la tempesta di sangue scatenata sull’Ucraina (peraltro logica conseguenza di anni di violenze, corruzioni, veleni, assassini, invasioni) e mi concentro sulla questione sollevata: è fondato parlare dell’Occidente in termini di “degrado morale”? L’hanno già fatto in molti, per esempio gli islamiti di Al-Qaeda e di Isis, gli ideologi della purezza hindu nell’India di Narendra Modi e altri paesi, Cina ovviamente compresa. A buona parte del mondo noi occidentali appariamo lassisti, moralmente disgregati, non di rado depravati.
Ora, che nelle nostre società vi siano individui e strutture economiche immorali lo sappiamo. Non di più, però, che in altre società. Anzi, se andiamo a vedere la tutela dei diritti umani, la parità di genere, l’accoglienza, l’inclusione, la trasparenza amministrativa, la libertà di stampa e di manifestazione e altri indicatori di questo tipo, io sono propenso a ritenere le nostre società eticamente superiori, e non di poco, rispetto a quelle di coloro che accusano l’Occidente di immoralità, società nelle quali la corruzione è endemica, la libertà un sogno, la parità dei sessi inesistente. Come spiegare allora l’accusa di degrado morale rivolta da Putin e da molti altri all’Occidente? È solo propaganda?
La chiave, a mio avviso, sta nelle parole pronunciate il 6 marzo scorso dal patriarca Kirill quando affermò di noi che “per entrare nel club di quei Paesi è necessario organizzare una parata del Gay Pride”. La chiave cioè è la nostra libertà sessuale. O meglio: è la libertà punto e basta, di cui la sessualità è forse la più palese manifestazione. È sulla libertà quindi che si gioca la partita.
Libertà significa anzitutto liberazione e si può dire che noi ci siamo liberati da quei legami istituiti lungo i secoli che, uniformando e spesso opprimendo i singoli individui (omo o etero che fossero) facevano sì che la società risultasse esteriormente coesa, come oggi appaiono più coese rispetto a noi molte società non occidentali. Priva di quei legami, la nostra società appare invece caotica e disgregata. Ma attenzione: quei valori che unificavano la società erano spesso affermati tenendo vincolati gli individui con l’impedirne l’autodeterminazione a livello sessuale, religioso e politico.

DÉGRADATION MORALE

Dans son discours pour le défilé solennel sur la Place Rouge de Moscou il y a quelques jours, le président russe Vladimir Poutine a qualifié la condition de l’Occident de “dégradation morale”. Je laisse de côté l’objection évidente qu’il est le dernier à pouvoir parler de moral après la tempête de sang qui s’est déchaînée sur l’Ukraine (qui est une conséquence logique d’années de violence, de corruption, de poison, de meurtre, d’invasion) et me concentre sur la question soulevée : est-il juste de parler de l’Occident en termes de « dégradation morale » ? Beaucoup l’ont déjà fait, par exemple les islamistes d’Al-Qaïda et d’Isis, les idéologues hindous de la pureté en Inde menés par Narendra Modi et d’autres pays, dont la Chine bien sûr. Pour une grande partie du monde, nous, Occidentaux, semblons laxistes, moralement désintégrés, souvent dépravés.
Or, nous savons que dans nos sociétés il y a des individus et des structures économiques immoraux. Pas plus, cependant, que dans d’autres entreprises. En effet, si l’on regarde la protection des droits de l’homme, l’égalité des sexes, l’accueil, l’inclusion, la transparence administrative, la liberté de la presse et de manifestation et d’autres indicateurs de ce type, je suis enclin à considérer nos sociétés comme éthiquement supérieures, et non un peu, comparées à celles de ceux qui accusent l’Occident d’immoralité, des sociétés dans lesquelles la corruption est endémique, la liberté un rêve, l’égalité des sexes inexistante. Comment alors expliquer l’accusation de dégradation morale portée par Poutine et bien d’autres contre l’Occident ? Est-ce juste de la propagande ?
La clé, à mon avis, réside dans les paroles prononcées le 6 mars par le patriarche Cyrille lorsqu’il a dit de nous que “pour entrer dans le club de ces pays, il faut organiser une parade Gay Pride”. La clé est notre liberté sexuelle. Ou plutôt : c’est la liberté, point final, dont la sexualité est peut-être la manifestation la plus évidente, c’est donc sur la liberté que se joue la partie.
La liberté signifie avant tout la libération et on peut dire que nous nous sommes libérés de ces liens établis au cours des siècles qui, en normalisant et souvent en opprimant les individus individuels (homo ou hétéro qu’ils étaient), donnaient à la société une apparence de cohésion extérieure, telle qu’elle apparaît maintenant plus cohésive par rapport à nous de nombreuses sociétés non occidentales. Sans ces liens, notre société apparaît plutôt chaotique et perturbée. Mais attention : ces valeurs qui unifiaient la société étaient souvent affirmées en maintenant les individus ligotés et en empêchant leur autodétermination sur le plan sexuel, religieux et politique.

MORAL DEGRADATION

In his speech for the solemn parade on Red Square in Moscow a few days ago, Russian President Vladimir Putin described the condition of the West as “moral degradation”. I leave out the obvious objection that he is the last to be able to talk about morals after the bloodstorm unleashed on Ukraine (which is a logical consequence of years of violence, corruption, poison, murder, invasion) and focus on the question raised: is it right to speak of the West in terms of “moral degradation”? Many have already done so, for example the Islamists of Al-Qaeda and Isis, the Hindu ideologues of purity in Narendra Modi’s India and other countries, including China, of course. To a large part of the world we Westerners appear lax, morally disintegrated, often depraved.
Now, we know that in our societies there are immoral individuals and economic structures. No more, however, than in other companies. Indeed, if we look at the protection of human rights, gender equality, hospitality, inclusion, administrative transparency, freedom of the press and of demonstration and other indicators of this type, I am inclined to consider ours societies that are ethically superior, and not a little, compared to those of those who accuse the West of immorality, societies in which corruption is endemic, freedom a dream, gender equality non-existent. How then to explain the accusation of moral degradation made by Putin and many others against the West? Is it just propaganda?
The key, in my opinion, lies in the words pronounced on March 6 by Patriarch Kirill when he said of us that “to enter the club of those countries it is necessary to organize a Gay Pride parade.” The key is our sexual freedom. Or rather: it is freedom, full stop, of which sexuality is perhaps the most obvious manifestation, so it is on freedom that the game is played.
Freedom means first of all liberation and it can be said that we have freed ourselves from those bonds established over the centuries which, by standardizing and often oppressing single individuals (homo or hetero they were) made society appear cohesive outwardly, as they now appear more cohesive. compared to us many non-Western societies. Without those bonds, our society appears instead chaotic and disrupted. But beware: those values ​​that unified society were often affirmed by keeping individuals tied up and preventing their self-determination on a sexual, religious and political level.

DEGRADACIÓN MORAL

En su discurso para el desfile solemne en la Plaza Roja de Moscú hace unos días, el presidente ruso, Vladimir Putin, describió la condición de Occidente como “degradación moral”. Dejo fuera la objeción obvia de que es el último en poder hablar de moral tras la tormenta de sangre desatada sobre Ucrania (que es consecuencia lógica de años de violencia, corrupción, veneno, asesinato, invasión) y me concentro en la cuestión planteada: ¿Es correcto hablar de Occidente en términos de “degradación moral”? Muchos ya lo han hecho, por ejemplo los islamistas de Al-Qaeda e Isis, los ideólogos hindúes de la pureza en la India liderados por Narendra Modi y otros países, incluida China, por supuesto. Para una gran parte del mundo, los occidentales parecemos laxos, moralmente desintegrados, a menudo depravados.
Ahora bien, sabemos que en nuestras sociedades existen individuos y estructuras económicas inmorales. No más, sin embargo, que en otras empresas. En efecto, si miramos la protección de los derechos humanos, la igualdad de género, la hospitalidad, la inclusión, la transparencia administrativa, la libertad de prensa y de manifestación y otros indicadores de este tipo, me inclino a considerar nuestras sociedades éticamente superiores, y no un poco, en comparación con los de quienes acusan a Occidente de inmoralidad, sociedades en las que la corrupción es endémica, la libertad un sueño, la igualdad de género inexistente. ¿Cómo explicar entonces la acusación de degradación moral hecha por Putin y muchos otros contra Occidente? ¿Es solo propaganda?
La clave, a mi juicio, está en las palabras pronunciadas el 6 de marzo por el Patriarca Kirill cuando dijo de nosotros que “para entrar en el club de esos países es necesario organizar un desfile del Orgullo Gay”. La clave es nuestra libertad sexual. O más bien: es la libertad, punto final, de la que la sexualidad es quizás la manifestación más obvia, por lo que es sobre la libertad que se juega el juego.
Libertad significa ante todo liberación y se puede decir que nos hemos liberado de aquellas ataduras establecidas a lo largo de los siglos que, uniformando y muchas veces oprimiendo a los individuos (homo o hetero) hacían que la sociedad pareciera cohesionada exteriormente, como ahora parece más cohesivo comparado con nosotros muchas sociedades no occidentales. Sin esos lazos, nuestra sociedad parece más bien caótica y desorganizada. Pero ojo: esos valores que unificaban a la sociedad muchas veces se afirmaban manteniendo atados a los individuos e impidiendo su autodeterminación a nivel sexual, religioso y político.

Libertà e cultura (Ita – Fr – Eng – Esp)

Dal web (il Tarassaco è simbolo di liberà)

Le poche notizie sui dissensi in Russia per la guerra contro l’Ucraina dovrebbero indurci a riflettere sull’idea che si ha nel mondo della libertà e della cultura.
La cultura, come complesso di consapevolezza etica e politica, è divisa in cultura orientale e occidentale. E subito ci viene da chiedere quale sia la migliore, rispetto all’idea di libertà. Ma questo è il pensiero meno culturale possibile. Ogni cultura ha i suoi limiti e i suoi pregi.
Ma c’è una pietra su cui inciampano entrambe: l’individuo.
In quanto tale, l’individuo può esistere senza la comunità eppure si rivolge a essa per riconoscere in sé le proprie caratteristiche fisiche, etiche e politiche. Nella pluralità si riconosce come essere unico e irripetibile.
Come guarda la cultura all’individuo? Come lo considera?
In quella occidentale (in cui il sentimento politico e quello religioso rimangono separati) l’individuo è considerato parte attiva della comunità e della massa, ma viene spinto a inglobarsi in quest’ultima sotto il profilo etico sociale e politico. L’individuo che vuole rimanere tale deve lottare contro questa tendenza che gli viene riversata addosso sin dalla nascita. La pratica dell’educazione consiste nella formazione di un individuo rispettoso della sfera sociale. Nella società occidentale gli uomini colti sono coloro che hanno il compito di indicare la strada da percorrere per inserirsi nella società e i politici hanno quello di attuare gli strumenti per ottenere il bene comune. Di questi compiti approfitta la classe dirigente che vuole e può condizionare le scelte dell’individuo.
Ma l’individuo, consapevole della propria di cultura e in ascolto della propria coscienza, può evitare il condizionamento e uscire dai ranghi, anche se non è facile, anzi doloroso. È un’uscita che inizia dal proprio intimo per poi manifestarsi in diversi modi sino a giungere al dissenso professato pubblicamente. Lo Stato può intervenire stabilendo le norme che prevedono, in un’ultima analisi, la privazione della libertà per coloro che causano danno agli altri.
Nella cultura orientale (in cui il sentimento politico si fonde con quello religioso) l’individuo è cellula di un unico corpo, che ha il dovere, appunto religioso e politico, di servire la comunità. La famiglia è percepita come una estensione dell’individuo, lo Stato come una estensione della famiglia, e poiché lo Stato è rispetto al popolo ciò che un padre è rispetto ai suoi figli, non vi è soluzione di continuità tra etica e politica. La finalità pratica della educazione consiste nella formazione di un uomo capace di servire la comunità sul piano politico e di diventare un «uomo di valore» sul piano etico: la responsabilità dunque dei membri della classe dirigente è quella di governare gli altri per il loro maggior bene. In tal modo si delinea da subito il destino «politico» dell’uomo colto che, invece di tenersi in disparte per meglio assolvere ad un ruolo di coscienza critica, avverte la responsabilità di impegnarsi nel processo volto ad armonizzare la società.
Ma cosa accade se l’uomo colto decide di ascoltare la propria coscienza? Che peso ha il forte senso religioso e politico insieme sulla possibilità di dissentire? È libero di manifestarlo?
Lascio alla vostra cultura e alla vostra esperienza di trarre le conclusioni.


Liberté et culture

Le peu des nouvelles sur les dissensions en Russie autour de la guerre contre l’Ukraine devrait nous amener à réfléchir sur l’idée que l’on se fait de la liberté et de la culture dans le monde .
La culture, en tant que complexe de conscience éthique et politique, est divisée en culture orientale et occidentale. Et tout de suite on se demande lequel est le meilleur, par rapport à l’idée de liberté. Mais c’est la pensée la moins culturelle possible. Chaque culture a ses limites et ses forces.
Mais il y a une pierre sur laquelle tous deux butent : l’individu.
En tant que tel, l’individu peut exister sans la communauté et pourtant il se tourne vers elle pour reconnaître ses propres caractéristiques physiques, éthiques et politiques. Dans la pluralité, il se reconnue comme étant unique et irremplaçable.
Comment la culture considère-t-elle l’individu ? Comment le voit-elle?
Dans le monde occidental (où sentiment politique et sentiment religieux restent séparés), l’individu est considéré comme une partie active de la communauté et de la masse, mais est poussé à se faire absorber de cette dernière d’un point de vue éthique, social et politique. L’individu qui veut rester individu doit lutter contre cette tendance qui se déverse sur lui dès sa naissance. La pratique de l’éducation consiste à former un individu respectueux de la sphère sociale. Dans la société occidentale, les hommes éduqués sont ceux qui ont pour tâche d’indiquer la voie à suivre pour s’intégrer à la société et les hommes politiques ont pour tâche de mettre en œuvre les outils pour obtenir le bien commun. De ces tâches profite la classe dirigeante qui veut et peut influencer les choix de l’individu.
Mais l’individu, conscient de sa propre culture et à l’écoute de sa propre conscience, peut éviter le conditionnement et sortir des rangs, même si ce n’est pas facile, voire douloureux. C’est une sortie qui commence de l’intérieur et se manifeste ensuite de différentes manières jusqu’à ce qu’elle atteigne la dissidence publiquement professée. L’État peut intervenir en établissant les règles qui prévoient en définitive la privation de liberté de ceux qui causent du tort à autrui.
Dans la culture orientale (où le sentiment politique se confond avec le sentiment religieux), l’individu est une cellule d’un corps unique, qui a le devoir en fait religieux et politique de servir la communauté. La famille est perçue comme une extension de l’individu, l’État comme une extension de la famille, et puisque l’État est au peuple ce qu’un père est à ses enfants, il n’y a pas de solution de continuité entre éthique et politique. Le but pratique de l’éducation consiste en la formation d’un homme capable de servir la communauté sur le plan politique et de devenir un « homme de valeur » sur le plan éthique : la responsabilité donc des membres de la classe dirigeante est de gouverner les autres pour leur plus grand bien. Ainsi se dessine d’emblée le destin « politique » de l’homme cultivé qui, au lieu de rester à l’écart pour mieux remplir un rôle de conscience critique, se sent responsable de s’engager dans le processus d’harmonisation de la société.
Mais que se passe-t-il si l’homme instruit décide d’écouter sa conscience ? Quel poids le sens religieux et politique a-t-il sur sa possibilité de être en désaccord ? Est-il libre de manifester sa conscience ?
Je laisse à votre culture et à votre expérience le soin d’en tirer les conclusions.


Freedom and culture

The lack of news about the dissensions in Russia around the war against Ukraine should lead us to reflect on the idea that we have of freedom and culture in the world.
Culture, as a complex of ethical and political consciousness, is divided into Eastern and Western culture. And we immediately wonder which is the best, in relation to the idea of freedom. But it is the least cultural thought possible. Each culture has its limits and strengths..
But there is a stone on which both stumble: the individual.
As such, the individual can exist without the community and yet he turns to it to recognize his own physical, ethical and political characteristics. In the plurality he recognizes himself as a unique and unrepeatable being.
How does culture view the individual? How do she see it?
In the Western world (in which political and religious sentiment remain separate), the individual is considered an active part of the community and the mass, but is pushed to englobe in the latter from an ethical, social and political point of view. The individual who wants to remain such must fight against this tendency that is poured out on him from birth. The practice of education consists in training an individual who is respectful of the social sphere. In Western society, educated men are those who have the task of indicating the way to take to integrate into society and politicians have the task of implementing the tools to obtain the common good. Of these tasks take advantage the ruling class that wants and can influence the choices of the individual.
But the individual, aware of his own culture and listening to his own conscience, can avoid conditioning and leave the ranks, even if it is not easy, indeed painful. It is an exit that begins from within and then manifests itself in different ways until it reaches publicly professed dissent. The state can intervene by establishing the rules that ultimately provide for the deprivation of liberty for those who cause harm to others.
In Eastern culture (in which the political sentiment merges with the religious one), the individual is a cell of a single body, which has in fact the religious and political duty to serve the community. The family is perceived as an extension of the individual, the state as an extension of the family, and since the state is to the people what a father is to his children, there is no solution of continuity between ethics and politics. The practical purpose of education consists in the formation of a man capable of serving the community on the political level and of becoming a “man of value” on the ethical level: the responsibility of the members of the ruling class is therefore to govern others for their greatest good. In this way, the “political” destiny of the educated man is immediately outlined who, instead of keeping to the sidelines to better fulfill a role of critical conscience, feels the responsibility of engaging in the process aimed at harmonizing society.
But what happens if the educated man decides to listen to his conscience? What weight does the religious and political sense have on her possibility of disagreeing? Is he free to manifest his consciousness?
I leave it to your culture and experience to draw the conclusions.

Libertad y cultura
La falta de noticias sobre las disensiones en Rusia en torno a la guerra contra Ucrania nos debe llevar a reflexionar sobre la idea que tenemos de libertad y cultura en el mundo.
La cultura, como un complejo de conciencia ética y política, se divide en cultura oriental y occidental. E inmediatamente nos preguntamos cuál es la mejor, en relación a la idea de libertad. Pero es el pensamiento menos cultural posible. Cada cultura tiene sus límites y fortalezas.
Pero hay una piedra con la que ambos tropiezan: el individuo.
Como tal, el individuo puede existir sin la comunidad y, sin embargo, recurre a ella para reconocer sus propias características físicas, éticas y políticas. En la pluralidad se reconoce como único e irrepetible.
¿Cómo considera la cultura al individuo? ¿Cómo lo ve?
En el mundo occidental (en el que el sentimiento político y el religioso permanecen separados), el individuo es considerado parte activa de la comunidad y de la masa, pero es empujado a incorporarse a esta última desde el punto de vista ético, social y político. El individuo que quiere seguir siéndolo debe luchar contra esta tendencia que se derrama sobre él desde el nacimiento. La práctica de la educación consiste en formar un individuo respetuoso de la esfera social. En la sociedad occidental, los hombres cultos son los que tienen la tarea de indicar el camino a seguir para integrarse a la sociedad y los políticos tienen la tarea de implementar las herramientas para obtener el bien común. de estas tareas se aprovecha la clase dominante que quiere y puede influir en las elecciones del individuo.
Pero el individuo, consciente de su propia cultura y escuchando su propia conciencia, puede evitar el condicionamiento y abandonar las filas, aunque no sea fácil, sí doloroso. Es una salida que comienza desde dentro y luego se manifiesta de diferentes maneras hasta llegar a la disidencia públicamente profesada. El Estado puede intervenir estableciendo las normas que en última instancia prevean la privación de libertad de quienes causen daño a otros.
En la cultura oriental (en el que el sentimiento político se funde con el religioso), el individuo es una célula de un solo cuerpo, que tiene el deber de hecho religioso y político de servir a la comunidad. La familia es percibida como una extensión del individuo, el Estado como una extensión de la familia, y siendo el Estado para el pueblo lo que el padre para sus hijos, no hay solución de continuidad entre ética y política. La finalidad práctica de la educación consiste en la formación de un hombre capaz de servir a la comunidad en el plano político y de convertirse en un “hombre de valor” en el plano ético: la responsabilidad de los miembros de la clase dominante es, por tanto, gobernar a otros por el bien mayor. De este modo, se perfila inmediatamente el destino “político” del hombre culto que, en lugar de quedarse al margen para cumplir mejor un papel de conciencia crítica, siente la responsabilidad de comprometerse en el proceso encaminado a la armonización de la sociedad.
Pero, ¿qué sucede si el hombre educado decide escuchar a su conciencia? ¿Qué peso tiene el sentido religioso y político sobre la posibilidad de disentir? ¿Es libre de manifestar su conciencia?
Lo dejo a su cultura y experiencia para sacar las conclusiones.

Vedere il mondo (Ita – Fr – Eng – Esp)

Marc Chagal, Crocefissione bianca, 1938

Se avessi una visione ottimista della vita sentirei di tradire quelle persone che sono sole, che vivono nella miseria, che sono vittime di tutte le sfumature odiose di cui è capace l’uomo, dalla prostituzione alla galera, da chi è discriminato per essere diverso, da chi fugge dalla guerra, da chi fugge dalla povertà, da chi non può fuggire né dalla guerra né dalla povertà, da chi ha perduto un figlio vittima dei pirati della strada, da chi è sfruttato dal datore di lavoro perché ha paura di perdere il posto, da chi rimane senza lavoro perché la ditta ha deciso di guadagnare di più delocalizzando.
Tradirei anche coloro che soffrono per il fatto stesso di appartenere al genere umano, come coloro che sono afflitti da malattie incurabili, o coloro che sono stati colpiti dal terremoto e ancora non trovano casa, o semplicemente coloro che hanno perduto l’amore e con l’amore sé stessi e la forza di cercarlo.
Non so se esiste l’anima. Io so che l’uomo si manifesta attraverso pensieri e azioni. E ci sono pensieri nobili e pensieri nefandi, come ci sono azioni nobili e azioni criminali. L’anima che guida pensieri e azioni com’è?
Allora, per uno come me che scrive poesie dovrebbe forse chiudere gli occhi e cantare gli osanna alla bontà dell’uomo? O non piuttosto denunciare, mettere a nudo, esporre alla riflessione dei pochi giusti che stanno su questa terra le nefandezze affinché non le dimentichino?
Io ho scelto questa seconda strada.
È dura per me e per chi mi legge. Ma è la strada che percorre l’umanità ogni giorno.
Basta non dimenticarlo!!

Ho temuto

Ho ascoltato il canto dell’alba
ho visto il colore rosa del cielo
e cadere i frutti dai rami.
Ho temuto che cessassero soffocati dalla luce
che il giorno spargesse sulle case deserte
e nei cuori degli uomini fredde perle di lacrime.
Ho sperato che le stanze risuonassero dei gridi
dei bambini che mostrano le mani degli adulti
ripulite del sangue dei loro fratelli
delle rondini che tornano dove i nidi le attendono
e delle farfalle che giocano col fuoco del tramonto.

Ho ascoltato e temuto, infine ho visto e sperato.

Mi sono rimaste intorno le solite cose:
il muro macchiato di sangue
i nidi di rodine vuoti, le ali bruciate delle farfalle.



Voir le monde

Si j’avais une vision optimiste de la vie, j’aurais l’impression de trahir ces gens qui sont seuls, qui vivent dans la misère, qui sont victimes de toutes les nuances haineuses dont l’homme est capable, de la prostitution à la prison, de ceux qui sont discriminés parce qu’ils sont différents, de ceux qui fuient la guerre, de ceux qui fuient la pauvreté, de ceux qui ne peuvent échapper ni à la guerre ni à la pauvreté, de ceux qui ont perdu un enfant victime de pirates de la route, de ceux qui sont exploités par leur employeur parce qu’ils ont peur de perdre leur place, par ceux qui restent au chômage parce que l’entreprise a décidé de gagner plus en délocalisant.
Je trahirais aussi ceux qui souffrent du fait même d’appartenir à la race humaine, comme ceux qui souffrent de maladies incurables, ou ceux qui ont été frappés par le tremblement de terre et qui ne trouvent toujours pas de logement, ou tout simplement ceux qui ont perdu l’amour et avec l’amour soi meme et la force de le chercher.
Je ne sais pas si l’âme existe. Je sais que l’homme se manifeste par des pensées et des actions. Et il y a des pensées nobles et des pensées néfastes, tout comme il y a des actes nobles et des actes criminels. À quoi ressemble l’âme qui guide les pensées et les actions ?
Alors, pour quelqu’un comme moi qui écrit de la poésie, doit-il fermer les yeux et chanter des hosannas à la bonté de l’homme ? Ou plutôt dénoncer, mettre à nu, exposer les atrocités à la réflexion des quelques justes qui sont sur cette terre pour qu’ils ne les oublient pas ?
J’ai choisi cette deuxième voie.
C’est dur pour moi et pour ceux qui me lisent. Mais c’est le chemin que l’humanité parcourt chaque jour.
Il suffit de ne pas l’oublier !!

J’ai peur

J’ai écouté le chant de l’aube
J’ai vu la couleur rose du ciel
et tomber les fruits des branches.
J’ai eu peur qu’ils cessent d’être étouffés par la lumière
que le jour jonchait sur les maisons désertes
et dans le cœur des hommes les froides perles des larmes.
J’espérais que les chambres retentiraient de cris
d’enfants montrant les mains des adultes
nettoyées du sang de leurs frères
des hirondelles qui retournent où leurs nids les attendent
et des papillons qui jouent avec le feu du couchant.

J’ai écouté et j’ai eu peur, enfin j’ai vu et j’ai espéré.

Ce sont les choses habituelles qui sont restées autour de moi :
le mur tachés de sang
les nids des hirondelles vides, les ailes brûlées des papillons.



See the world

If I had an optimistic outlook on life I would feel like I was betraying those people who are alone, who live in misery, who are victims of all the hateful nuances of which man is capable, from prostitution to prison, by those who are discriminated for being different, from those who flee from war, from those who flee from poverty, from those who cannot escape either from war or from poverty, from those who have lost a child who is a victim of road pirates, from those who are exploited by their employer because they are afraid of losing their place, by those who remain unemployed because the company has decided to earn more by relocating.
I would also betray those who suffer from the very fact of belonging to the human race, such as those afflicted with incurable diseases, or those who have been hit by the earthquake and still cannot find a home, or simply those who have lost love and with the love yourself and the strength to look for it.
I don’t know if the soul exists. I know that man manifests himself through thoughts and actions. And there are noble thoughts and nefarious thoughts, just as there are noble deeds and criminal deeds. What is the soul that guides thoughts and actions like?
So, for someone like me who writes poetry should he close his eyes and sing hosannas to the goodness of man? Or not rather denounce, lay bare, expose the atrocities to the reflection of the few righteous who are on this earth so that they do not forget them?
I have chosen this second path.
It’s hard for me and for those who read me. But it is the path that humanity travels every day.
Just don’t forget it !!

I feared

I listened to the song of dawn
I saw the pink color of the sky
and the fruit to fall from the branches.
I feared they would cease suffocated by the light
that the day spread over the deserted houses
and in the hearts of men cold pearls of tears.
I hoped the rooms would ring out with screams
of children showing adult hands
cleansed of the blood of their brothers
swallows returning to where their nests await them
and butterflies playing with the fire of the sunset.

I listened and feared, finally I saw and hoped.

The usual things remained around me:
the bloodstained wall
the empty swallow’s nests, the burnt wings of butterflies.


Ver el mundo

Si yo tuviera una visión optimista de la vida sentiría que traiciono a esas personas que están solas, que viven en la miseria, que son víctimas de todos los matices odiosos de que es capaz el hombre, desde la prostitución hasta la cárcel, por parte de quienes son discriminados por ser diferentes, de los que huyen de la guerra, de los que huyen de la pobreza, de los que no pueden escapar ni de la guerra ni de la pobreza, de los que han perdido un hijo víctima de los piratas de las carreteras, de los que son explotados por su empleador porque tienen miedo de perder su lugar, por aquellos que permanecen desempleados porque la empresa ha decidido ganar más reubicándose.
Traicionaría también a los que sufren por el hecho mismo de pertenecer al género humano, como los aquejados de enfermedades incurables, o los que han sido azotados por el terremoto y todavía no encuentran un hogar, o simplemente los que han perdido el amor y el amor de ti mismo y la fuerza para buscarlo.
No sé si el alma existe. Sé que el hombre se manifiesta a través de pensamientos y acciones. Y hay pensamientos nobles y pensamientos nefastos, así como hay actos nobles y actos criminales. ¿Cómo es el alma que guía los pensamientos y las acciones?
Entonces, para alguien como yo que escribe poesía, ¿debería cerrar los ojos y cantar hosannas a la bondad del hombre? ¿O no más bien denunciar, desnudar, exponer las atrocidades a la reflexion de los pocos justos que hay en esta tierra para que no las olviden?
He elegido este segundo camino.
Es duro para mí y para los que me leen. Pero es el camino que la humanidad recorre todos los días.
¡Solo no lo olvides!

Yo temí

Escuché la canción del amanecer
vi el color rosa del cielo
y caer el fruto de las ramas.
Temí que dejaran de ser sofocados por la luz
que el día esparcieran sobre las casas desiertas
y en el corazón de los hombres las frías perlas de las lágrimas.
Esperaba que las habitaciones sonaran con gritos
de niños mostrando manos adultas
limpiados de la sangre de sus hermanos
golondrinas regresando a donde las esperan sus nidos
y mariposas jugando con el fuego del atardecer.

Escuché y temí, finalmente vi y esperé.

Las cosas habituales permanecieron a mi alrededor:
la pared manchada de sangre
los nidos de rodine vacíos, las alas quemadas de las mariposas.

Dicono di me (Ita – Fr – Eng – Esp)

Autoritratto

Dicono che le mie poesie sono tristi. Dicono che dimentico felicità e speranza. Dicono che il mondo non è come lo vedo io.
Ma com’è il mondo? Felice e ebbro?
Ebbro di una gioventù che non esiste se non nei giovani di età, che peraltro non sono perciò stesso felici.
Ebbro di una bellezza vista dentro le pubblicità, una bellezza desiderata ma impossibile da raggiungere (anche per coloro che ci dicono d’averla raggiunta: ricatti e umiliazioni gravano sulle loro spalle).
Un mondo ebbro d’amore? E dove sta tutto questo amore?
Forse individualmente ciascuno di noi gode di un piccolo o grande spazio di serenità.
Ma dobbiamo chiudere gli occhi e tapparci le orecchie per riuscire a goderne intimamente. Perché se apriamo gli occhi e ascoltiamo, ci accorgiamo che quello spazio è il regno dell’individualismo.
Soprattutto ci accorgiamo che fuori da quello spazio, c’è il mondo, quello nascosto non per vergogna di chi governa, ma per voluta incapacità di governare e per vile abbandono. Quel mondo che non raccoglie consensi né like, che è fuori da ogni discorso degli influencers, che non fa vendere i giornali e ancor di più le riviste di moda o di gossip, quelle patinate e colorate che narrano dei successi individuali, dei loro nuovi amori e nuovi tradimenti.
Quel mondo che fa paura a guardarlo quando lo incontri disteso sui marciapiedi, avvolto negli stracci o nei cartoni, rinchiuso nei centri di raccolta, in perenne fuga dalle persecuzioni. Quello che fa paura a pensarlo in guerra fratricida.
E poi quel mondo dei morti sul lavoro, dei femminicidi, degli stupri e delle violenze.
Io sono uno che scrive poesie, ma non sono un poeta di regime e neppure reazionario o rivoluzionario.
Sono un poeta che qualche volta spinge a sognare d’amore e della natura . E io stesso non sono privo di sogni.
Ogni tanto apro il cassetto dove li ho riposti per paura che me li uccidano e li diffondo sul web. Chi lo nota è bravo e possiede la sensibilità di comprendere un poeta avvolto nei cartoni, sporco e pensieroso.
Chi vuol aprire gli occhi e il cuore legga i miei versi. Alto sul dolore vedrà il mondo


On dit de moi

On dit que mes poèmes sont tristes. On dit que j’oublie le bonheur et l’espoir. On dit que le monde n’est pas tel que je le vois.
Mais comment vit le monde ? Heureux et ivre?
Ivre d’une jeunesse qui n’existe que chez les jeunes, qui ne sont pas forcément heureux.
Ivre d’une beauté vue dans les publicités, une beauté voulue mais impossible à atteindre (même pour ceux qui nous disent y être parvenus : chantage et humiliation pèsent sur leurs épaules).
Un monde ivre d’amour ? Et où est tout cet amour ?
Peut-être que chacun de nous jouit individuellement d’un petit ou grand espace de sérénité.
Mais il faut fermer les yeux et se boucher les oreilles pour pouvoir en profiter intimement. Parce que si nous ouvrons les yeux et écoutons, nous réalisons que cet espace est le domaine de l’individualisme.
Surtout, nous nous rendons compte qu’en dehors de cet espace, il y a un monde, caché non par honte de ceux qui gouvernent, mais par incapacité délibérée à gouverner et abandon lâche. Ce monde qui ne recueille ni consensus ni likes, qui est en dehors de tout discours d’influencers, qui n’aide pas à vendre les journaux et encore plus les magazines de mode ou de gossip, les magazines de papiers glacés et colorés qui racontent les succès individuels, leurs nouveaux amours et de nouvelles trahisons.
Ce monde qui fait peur à regarder quand on le rencontre allongé sur les trottoirs, enveloppé dans des haillons ou des cartons, enfermé dans des centres de collecte, en perpétuel évasion de la persécution. Ce qui fait peur à penser dans une guerre fratricide.
Et puis ce monde des morts au travail, des féminicides, des viols et des violences.
Je suis quelqu’un qui écrit de la poésie, mais je ne suis pas un poète du régime, ni un réactionnaire ou un révolutionnaire.
Je suis un poète qui parfois pusse à rêver d’amour et de la nature. Et moi-même, je ne suis pas sans rêves.
De temps en temps, j’ouvre le tiroir où je les ai rangés de peur qu’ils ne soient tués et je les diffuse sur le web. Ceux qui le remarquent ont une belle sensibilité car ils sont capables de comprendre un poète enveloppé de cartons, sale et réfléchissant.
Qui veut ouvrir ses yeux et son cœur, qu’il lise mes vers. Haute sur la douleur , il verra le monde.


They say about me

They say my poems are sad. They say I forget happiness and hope. They say the world is not as I see it.
But how does the world live? Happy and drunk?
Drunk with a youth that only exists among young people, who are not necessarily happy.
Drunk with a beauty seen in advertisements, a beauty desired but impossible to achieve (even for those who tell us they have succeeded: blackmail and humiliation weigh on their shoulders).
A world drunk with love? And where is all this love?
Perhaps each of us individually enjoys a small or large space of serenity.
But you have to close your eyes and cover your ears to be able to enjoy it intimately. Because if we open our eyes and listen, we realize that this space is the realm of individualism.
Above all, we realize that outside this space there is a world, hidden not by shame of those who govern, but by willful inability to govern and cowardly abandonment. This world that collects neither consensus nor likes, which is outside of any discourse of influencers, which does not help to sell newspapers and even more fashion or gossip magazines, glossy and colorful paper magazines that tell individual successes, their new loves and new betrayals.
This world who is scary to look at when you find it lying on the sidewalks, wrapped in rags or cardboard boxes, locked up in collection centers, in perpetual escape from persecution. Which is scary to think about in a fratricidal war.
And then this world of deaths at work, feminicides, rapes and violence.
I am someone who writes poetry, but I am not a poet of the regime, nor a reactionary or a revolutionary.
I am a poet who, sometimes, makes you dream to love and nature. And I myself am not without dreams.
From time to time, I open the drawer where I put them for fear that they will be killed and I publish them on the web. Those who notice him have a beautiful sensitivity because they are able to understand a poet wrapped in boxes, dirty and reflective.
Who wants to open his eyes and his heart, let him read my verses. High on pain, he will see the world.


Dicen de mi

Dicen que mis poemas son tristes. Dicen que olvido la felicidad y la esperanza. Dicen que el mundo no es como yo lo veo.
Pero, ¿cómo es el mundo? ¿Feliz y ebrio?
Embriagados de una juventud que no existe sino en los jóvenes, que por tanto no son felices ellos mismos.
Ebrios de una belleza vista en los anuncios, una belleza deseada pero imposible de alcanzar (incluso para quienes nos dicen que lo han logrado: el chantaje y la humillación pesan sobre sus hombros).
¿Un mundo ebrio de amor? ¿Y dónde está todo este amor?
Quizás cada uno de nosotros disfrute individualmente de un pequeño o gran espacio de serenidad.
Pero debemos cerrar los ojos y taparnos los oídos para poder disfrutarlo íntimamente. Porque si abrimos los ojos y escuchamos, nos damos cuenta de que ese espacio es el reino del individualismo.
Sobre todo, nos damos cuenta de que fuera de ese espacio está el mundo, el oculto no por vergüenza de los que gobiernan, sino por una deliberada incapacidad de gobernar y un cobarde abandono. Ese mundo que no reúne consensos ni likes, que está fuera de cualquier discurso de influencers, que no vende periódicos y más aún las revistas de moda o del cotilleo, esas lustrosas y coloristas que cuentan los éxitos individuales, de sus nuevos amores y nuevas traiciones.
Ese mundo que da miedo mirar cuando te lo encuentras tirado en las aceras, envuelto en harapos o cartones, encerrado en centros de acopio, en perenne huida de la persecución. Lo que da miedo pensarlo en guerra fratricida.
Y luego ese mundo de los muertos en el trabajo, de los feminicidios, de las violaciones y la violencia.
Yo soy de los que escribe poesía, pero no soy un poeta del régimen ni un reaccionario o revolucionario.
Soy un poeta que a veces os empuja a soñar con el amor y la naturaleza. Y yo mismo no estoy sin sueños.
De vez en cuando abro el cajón donde los guardo por miedo a que los maten y los esparzo por la web. Los que lo notan son buenos y tienen la sensibilidad para entender a un poeta envuelto en cartones, sucio y pensativo.
Quien quiera abrir los ojos y el corazón, lea mis versos. Sumido en el dolor, verá el mundo.