La vita felice

Siskind,Pleasures & terrors of levitation

Aaron Siskind, Pleasures & Terrors of Levitation

L’intera vita può essere definita felice quando tutti i pezzi del corpo e della mente stanno bene? Con l’avanzare degli anni saranno necessari, sempre più frequentemente, interventi di manutenzione, via via più specializzata.

A che fine? A che giova tutto questo?

Basterebbe eliminare il dolore e si andrebbe verso la morte con la stessa serenità (sarà poi così?) degli animali.

Invidia verso gli animali o semplice paragone umiliante?

“Nati non foste a viver come bruti”. Ma di fatto come viviamo?

Mangiare bene, dormire bene, fare figli, crescere la prole, accumulare conoscenze, preparare un futuro migliore per gli altri.

È questo il non vivere da bruti?

Alla fin fine, in mezzo a tanti popoli che ancora soffrono, a tante donne calpestate, torturate e umiliate, a bambini sfruttati o usati come armi di ricatto o in spettacoli di vergognosa pietà, in mezzo a tanti poveri delle nostre città che ci guardano in vergognato silenzio, tutto si risolve in un mangiare meglio, un dormire meglio, un essere più belli e più in forma, senza tuttavia riuscire ad amare più di coloro che ci hanno preceduto, senza tuttavia riuscire a sconfiggere il dolore e la paura della morte.

È questo il “non viver come bruti”?

Di nome Angelo

Katia Chausheva Crossing the water

Katia Chausheva, Crossing the water

È l’alba di un’estate appena iniziata
un giorno d’azzurro di un infinito cielo.
Lungo la strada alberata da lunghe file di albizie
cadono  piumini sul grigio
vischioso dell’asfalto.
Nel tuo abito nero come i capelli della notte
sporcata di grida e di segni
di giallo di rosso di guerra e d’amore
il volto sfatto di vino e di droga
farnetichi e sbavi ricordi
addossata ad un muro.
Muovi le mani sul petto e sui fianchi,
invochi accecata il suo nome
e sfibri in un canto insensato
il tuo candore di donna
sospesa al cappio della speranza.
In gola il pianto ti aggriccia le labbra
e mescola l’impasto
del rossetto fiammante alle lacrime
che scendono come pennelli
a diluire in rosa la loro purezza.
«Angelo, – gridi con quel tanto
di tenerezza che mi torce il cuore –
nelle vene inietti il veleno dei sogni
e nella carne i segni del tuo possesso eterno.
Nell’abbaglio del giorno che nasce
dopo la notte che mi ha annientato l’anima
te maledetto dalla mia debolezza,
piango trafitta dalla luce del sole.»

E mentre ti guardo svanire tra auto
silenziose e lente che ti passano a fianco
incantato dalla tua bellezza
raccolgo da terra un piumino vischioso
lacero smunto di un semplice rosa.