Certamente non so vendermi , non partecipo a concorsi, non mi faccio pubblicare da case editrici a pagamento, non pago nessuno per farmi recensire, non corteggio i miei lettori, non inserisco i loro nomi nei tag, attendo che siano loro a venirmi a trovare.
È normale tutto questo? È corretto comportarsi in questo modo? È corretto lasciare che ciascuno sia libero di esprimermi o meno il suo gradimento, senza far nulla per sollecitarlo ?
Non lo so.
So che altri, che svolgono la mia stessa attività (scrivere versi), vincono ai concorsi, ringraziano a destra e a manca per essere stati nominati a questo o a quel premio, ricevono gli applausi degli “amici”.
Mentre scrivo mi chiedo perché io stia scrivendo queste cose…
A volte mi sento talmente inutile, non solo io ma tutto il mio scrivere, tutta la mia esistenza, che l’unico desiderio che ho è quello di morire. E mi torna in mente Cesare Pavese, la sua vita, la sua difficoltà a intessere rapporti umani, la sua incapacità a mantenerli, a suscitare amore. E la sua caratteristica di non aver vinto mai un premio se non il premio Strega . E la sua terribile delusione quando si accorse, subito dopo aver vinto, che era stato merito dell’editore Einuadi e non della validità della sua opera “La Bella Estate”.
«Cosa ho messo insieme? Niente.» Si chiedeva Pavese qualche giorno prima di suicidarsi
Ho pensato spesso al suo suicidio come un gesto disperato. Ma sono certo che così non è. È stato l’unico modo per affermare «la dignità dell’uomo davanti al destino», come lui stesso definisce nel suo diario l’idea del suicidio.
Non ha tutti i torti.
Di fronte a una vita che mi usa, una vita in cui le circostanze mi costringono a fare ciò che non mi piace fare, che mi assegna un ruolo insignificante e fa sentire insignificante tutto me stesso, l’unico modo è quello di salutare tutti e fare un salto nel buio, portando con me la luce delle ultime frasi che proprio Cesare Pavese scrisse prima di assumere i barbiturici:
«L’ uomo mortale non ha che questo d’ immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia».
«Ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le pene di molti».
«Ho cercato me stesso».
Che si muoia per mezzo di barbiturici o si muoia per cause più o meno naturali non fa nessuna differenza. Il buio è sempre quello.
Ma tu non hai quel coraggio. La vita ti ha tolto anche questo.
Che lo scrivi a fare?