Il poeta tedesco Georg Trakl, nato a Salisburgo nel 1887, è scomparso il 3 novembre del 1914, per aver ingerito una forte dose di cocaina.
Trakl fu prima influenzato dai simbolisti tardo ottocenteschi, francesi in particolare, ma la sua tecnica compositiva presto si arricchì dell’alone espressivo capace di squarciare il simbolo, denunciando l’estetica dell’art pour l’art, se non addirittura ogni superstite estetica, anticipando quegli aspetti più significativi della poesia novecentesca, che si inserisce nel solco dell’espressionismo.

L’uso della parola in Tralk intrattiene un ambiguo rapporto con la significazione. L’intensità espressiva degli oggetti nominati e il loro accoppiamento, le costellazioni verbali, la forza denotativa della terminologia – soprattutto quella legata alla tematica notturna – allinea e combina non l’esteriorità formale dei segni, ma le cose stesse significate.
In vita pubblicò un volume di poesie (nel 1913, un anno prima della morte), ma gran parte della sua produzione letteraria è stata pubblicata postuma.
Di Georg Trakl vi proponiamo tre poesie, tradotte da Giaime Pintor, tuttavia insufficienti per apprezzarne lo stile e la poetica.
Infanzia
Colmo di frutti il sambuco; tranquilla era l’infanzia
nella grotta celeste. Su percorsi sentieri,
dove rossiccia stride ora l’erba selvatica,
medita il calmo intrico di rami; un frusciare di foglie.
Simile quando suona l’acqua azzurra sul sasso.
Mite è il lamento del merlo. Un pastore
tacito segue il sole, scende dai colli autunnali.
L’anima non è più che uno sguardo celeste.
Al limite del bosco viene una timida fiera,
posano in fondo le antiche campane e villaggi di tenebra.
Ma tu meglio conosci il senso degli anni oscuri,
freddo e autunno nelle camere nude;
fuori sul sacro azzurro suonano passi di luce.
Una finestra cigola piano; commuove
la vista del cadente cimitero sul colle,
narrate leggende; ma spesso l’anima schiara
pensiero di uomini lieti, di primavere d’oro.
Hohenburg
Nessuno è in casa. L’autunno alle camere;
sonate chiare di luna
e risvegliarsi al confine di una foresta in penombra.
Sempre tu pensi al bianco viso dell’uomo
lontano i clamori del tempo;
sopra il dormente si curva facile il verde dei rami,
una croce e la sera.
Stringe il suo canto con braccia di porpora un astro
che sorge al segno di finestre vuote.
Così nel buio trema l’ignaro
quando sommesso leva gli occhi a creature
ora distanti; una argentea voce dà il vento nell’atrio.
Canto serale
La sera, se andiamo per oscure vie,
smorte ci incontrano le nostre ombre.
Ora chi ha sete
beva le bianche acque dello stagno,
dolci i lamenti della nostra infanzia.
Morti in riposo sotto il folto sambuco
guardiamo grigi gabbiani.
Nubi primaverili coprono la città buia
che tace i tempi di monaci eletti.
Quando io presi la tua mano esile
battesti piano gli occhi rotondi:
ora è perduto.
Ma se una buia armonia penetra l’anima
appari tu bianca ai paesi autunnali del cuore.