Voglio innalzarti, o Madonna, mia amante,
un altare nascosto in fondo al mio sconforto
e scavare nell’angolo più buio del mio cuore,
lontano da desideri…
Sorgente: A una Madonna – Charles Baudelaire nella mia traduzione
Voglio innalzarti, o Madonna, mia amante,
un altare nascosto in fondo al mio sconforto
e scavare nell’angolo più buio del mio cuore,
lontano da desideri…
Sorgente: A una Madonna – Charles Baudelaire nella mia traduzione
dedicata a Titti
Di te del tuo sguardo,
del tuo corpo di donna
del tuo tremore e del grigio
annuncio del futuro
– cieco all’improvviso divenuto sordo-
tutto ho perduto.
Tutti i dolori e tutte le paure.
Né le tue gioie – mai potrei trovarle
perché nascoste dietro un velo di parole.
Non tue ma dei poeti
che ti portano in alto dove è limpida l’aria.
Volano con l’orgoglio
di chi conosce il cielo
scavalcano i monti,
graffiano come aquile
con artigli di versi.
Di tutto questo soffro.
Ma tu non puoi vederlo
perché per te l’amore
sorge a un orizzonte
rabbuiato di nuvole.
E mi dici inetto ed incapace
di volare con te,
di spegnere la sete
che in alto la luce
infonde a chi v’immerge
le ali del sogno.
Cosa posso fare
io cantore e cieco?
Trascino le mie ali
in un deserto di polvere e di gesso
– Io sordo poeta
al mio stesso canto.
foto con elaborazione grafica di marcello comitini
Nuvole di carta vestono la sposa
come luna nel vento di marzo
scesa lungo i prati della villa antica
e cammina tra le statue infreddolita.
Nascoste tra i platani e le querce
al canto ininterrotto degli uccelli
inspirano espirano le statue
ridono respirano non vedono
la sposa dalle spalle nude
sotto un arco di fiori irrigiditi
calpestati dal freddo.
Dove sono i compagni – chiedo ai fiori –
i parenti, gli amici? Dove lo sposo che l’attende?
Lei è sola con la sua felicità.
Con il mio sguardo vorrei cingerle le spalle
Con le mie labbra baciare le sue labbra
Con il mio fiato scaldare la sua pelle.
Ma lei è sola con la sua felicità.
Ferdinando Scianna, Carmen Sammartin
Mi rifugio nei sogni d’amore e di rivolta.
Vago nel buio delle lunghe attese
faccio naufragio nella mia solitudine
e nelle vene inietto le farfalle pietose
della mia memoria. E sogno.
Un solido legame sconosciuto inestricabile,
come l’aria che tagliano le rondini
come la terra nella vastità dell’universo
come il mare che culla gli annegati
e li rende alle braccia del silenzio.
Sogno un laccio che mi leghi mani e piedi al letto
nero di freddo ferro sopra un materasso.
Piume e molle che respingono ed accolgono
il peso del mio corpo gravato dallo spasimo.
Vagano due mani lungo le mie membra
lievi come passeri in un bosco di ciliegi
bianche come gabbiani sulle onde in tempesta
come alghe che fluttuano nelle ultime acque
tiepide d’un mare autunnale.
Gli occhi sotto una benda nera, ciechi
più sensibili al tatto non distratti
dalla bellezza che divora a labbra spalancate
ogni piacere che mi pervade e fugge,
ogni mio timore ogni resistenza.
Sentire i baci che mi sfiorano la pelle
vedere al buio quella luce immortale
come piccoli morsi delle lucciole
che scintillano fin dentro la mia anima.
Gemo all’improvviso e mi risveglio nell’attesa
della frusta che in piedi sul mio corpo
luminosa la Vita maestosamente impugna.