Guardo le stelle (Ita – Fr – Eng)

Guardo le stelle a una a una

Il mio #Moleskine

 

#Français

 

Je regarde les étoiles une par une
comme si elles étaient vos lèvres de statue
posant doucement sur ma bouche
la rose solitaire de ta bouche.
Ils sont les étoiles de mon ciel. Je les regarde
comme une rivière qui se répandre lentement
dans le lac infini de tes yeux.

#English

I look at the stars one by one
as if they were your lips of statue
posing gently on my mouth
the solitary rose of your mouth.
They are the stars of my sky. I look
like a river that slowly gets lost
in the infinite lake of your eyes.

 

Io sto col Presidente Mattarella.

La penso così anch’io. E chi finge che non sia così e crede alle lobi estere, apra gli occhi e dica davvero quel che pensa, ammesso che abbia la preparazione politica ed economica per riconoscere come stanno davvero le cose.

La Collina dei Bardi

Grazie signor Presidente!

Negli ultimi mesi volutamente, e con grande sforzo, ho evitato di aprire il blog sapendo che se l’avessi fatto avrei inevitabilmente toccato l’argomento politica e, visto l’andazzo, avrei rischiato di andare sopra le righe.

Ora però alcune persone nel nostro Paese sono decisamente andate troppo oltre.

Come italiana non posso e non voglio voltarmi dall’altra parte e fingere di nulla, i fatti di questa notte sono intollerabili: nessuno può attentare così sfacciatamente alla Costituzione (pagata con fin troppo sangue) ne, tantomeno, al Presidente della Repubblica- che ne è l’ultimo e strenuo garante- minacciando, per giunta, una sorta di nuova marcia su Roma in risposta ad un atto legittimo e dovuto nonchè oserei anche dire inevitabile.

Ai “signori” Salvini, Di Maio e compagnucci vari suggerisco un’attenta rilettura (o forse dovrei dire lettura visto che sembrano non conoscerla?) del Magna Carta  … a proposito, ma non l’avevano difesa prima…

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Il bacio

Rodin bacio

Rodin, Bacio

 

No, non è la forza rumorosa del vento che ci spinge
verso l’infinito desiderato.
Il silenzio degli sguardi
i dorsi delle mani sulle pagine del libro.
Esistiamo solo noi due.
Le nostre dita s’incrociano,
ci legano l’uno all’altra
si toccano le labbra con un soffio misterioso.
Lontano le ali dei sogni bruciavano fra le nuvole.
Il fuoco si spandeva come fosse il nostro destino.
Non esistevano porte e lungo i corridoi
soltanto fiamme. Non sapevamo nulla. Non parlavamo.
Soli eravamo e senza alcun sospetto
nel buio cercavamo le nostre bocche.
Le parole furono i nostri sguardi e il nostro bacio
fu quello della morte.

 

  • Il titolo originario della scultura di Rodin fu “Paolo e Francesca”
  • I versi si riferiscono al Canto V dell’ Inferno della Divina Commedia (incontro di Dante con Francesca da Rimini e Paolo Malatesta) e il verso non in corsivo inserito nella mia poesia è il 129esimo del Canto.

D’autismo

Autismo

a Francesca Montana

Perché il grido della donna che ha partorito si prolunga
come un’eco tra le tue labbra e nei tuoi occhi appare
quella stessa luce innamorata
dono delle tue figlie ?
Perché poni le tue mani intorno
alle tempie di quei cuccioli
confusi dal turbinare di persone e luoghi ,
di rumori e di segnali che si aprono e si chiudono
con squarci di cielo tra il grigio delle nuvole ?

Le mani cadono e la solitudine ronza
come una vespa dentro il loro cervello.
Accucciati, inginocchiati nell’angolo più alto del soffitto
ti guardano atterriti nell’intimo impenetrabile del cuore
da una realtà che li spaventa e li offende.
Il fiorire dei colori che poni innanzi ai loro occhi
incupiti dona una grazia ai loro gesti, alle parole che
dalle loro labbra dicono: arriva
ora arriva. Ed è un fiore che li attende. Un fiore
che cresce ed alberi
piccoli piccoli che spingi verso la serenità.

Nel silenzio dell’uomo che ti si è posto accanto c’è la calma
del mare che scioglie le tensioni.
Separa dal tuo corpo la fragilità dei cuccioli
che ti fa debole e agita un odore di malattia che non si vede,
di stanchezza dentro le tue vene.
Lui bussa al tuo fianco e quieta i tuoi sogni
anche i più profondi e bui.

 

 

Tutta l’Africa vale più del tuo pianto?

Si sarebbe potuto chiamare Mario, Angelo, Giovanni o Marco il giovane poeta che in questi versi cerca di stringere tra le sua braccia la ragazza che ama.

Invece si chiama Sesto Aurelio e ci viene tramandato col nome di Properzio che richiama alla nostra mente l’arzillo portinaio di un vecchio palazzo romano.

Ma è un giovane abruzzese che visse a Roma e la cui vita non arrivò ai quarantanni.

Credi che si ricordi ancora come sei fatta
colui che dal tuo letto, l’hai visto, ha preso il mare?
Crudele, chi a una donna preferisce il denaro !
forse che tutta l’Africa vale più del tuo pianto ?

Ma tu, ingenua, credi agli dèi e alle parole vane :
mentre lui già si consuma per un altro amore.
Hai una bellezza splendida, hai le arti della casta Pallade
e la gloria di un antenato illustre,
felice la tua casa, con accanto un amico fedele.

Fedele io ti sarò: corri, fanciulla, al nostro letto !
Ed anche tu, Sole, che d’estate ardi in fuochi
più lunghi, abbrevia l’indugio della luce.
Venga presto per me la notte! Per la sua datele tempo!

Luna, sui primi abbracci soffermati più a lungo.
Molte ore passeranno prima che ceda ai miei discorsi
prima che Venere ci sospinga a dolci lotte !

Bisogna stabilire i patti, firmare i giuramenti
e scrivere le regole di un amore nuovo.
Col suo sigillo Amore conferma questi pegni :
lo testimonia la corona della notte stellata.

Dove patti chiari non avvincono un letto,
le notti solitarie non ottengono vendetta dagli dèi.
La passione scioglie i nodi che strinse :
i patti iniziali ci serbino la fede.

Dunque, chi rompe i patti giurati sugli altari,
e contamina in altri letti le nozze sacre,
provi lo stesso dolore che alberga in chi ama,
e si prepari ad essere sulla bocca di tutti,
al suo lamento notturno non s’apra la finestra :
ma sempre ami ed elemosini il frutto dell’amore.

Sesto Aurelio Properzio, Elegie, III libro, 20 (traduzione di Marcello Comitini)

Credis eum iam posse tuae meminisse figurae,
vidisti a lecto quem dare vela tuo?
Durus, qui lucro potuit mutare puellam !
tantine, ut lacrimes, Africa tota fuit?

At tu, stulta, deos, tu fingis inania verba :
forsitan ille alio pectus amore terat.
Est tibi forma porens, sunt castae Palladis artes,
splendidaque a docto fama refulget avo,
fortunata domus, modo sit tibi fidus amicus.

Fidus ero: in nostros curre, puella, toros !
Tu quoque, qui aestivos spatiosius exigis ignis,
Phoebe, moraturae contrahe lucis iter.
Nox mihi prima venit! primae data tempora noctis !

Longius in primo, Luna, morare toro.
Quam multae ante meis cedent sermonibus horae
dulcia quam nobis concitet arma Venus !

Foedera sunt ponenda prius signandaque iura
et scribenda mihi lex in amore novo.
Haec Amor ipse suo constringit pignora signo :
testis torta corona sidereae deae.

Namque ubi non certo vincitur foedere lectus,
non habet ultores nox vigilanda deos,
et quibus imposuit, solvit mox vincla libido:
contineant nobis omina prima fidem.

Ergo, qui pactas in foedera ruperit aras,
pollueritque nova sacra marita toro,
illi sint quicumque solent in amore dolores,
et caput argutae praebeat historiae,
nec flenti dominae patefiant nocte fenestrae :
semper amet, fructu semper amoris egens.

Sesto Aurelio Properzio, Elegiae, III libro, 20

“Il y a des choses que je ne dis à personne”, Louis Aragon.

Grazie a Barbara  Auzou che ha pubblicato l’originale in francese sul suo blog https://lireditelle.wordpress.com/ . Questa è la mia traduzione:

Ci sono cose che non dico a Nessuno Allora
Non fanno male a nessuno Ma
La sventura è
Che io
La sventura la sventura è
Che io queste cose le so

Ci sono cose che mi rodono La notte
Per esempio delle cose come
Come dire non so come dei sogni
E la sventura è che non sono per niente dei sogni

Ci sono cose che sono per me assolutamente
Ma assolutamente insopportabili anche se
Non dico nulla anche se
Non dico nulla comprendetemi comprendetemi bene

Allora questo vi a volte questo vi soffoca
Guardatemi guardatemi bene
Guardate la mia bocca
Che si apre e si chiude e non dice nulla

Pensare soltanto altre cose
Sognare a voce alta e da me
Escono parole di cui mi meraviglio
Che non fanno male a nessuno

Viceversa ho paura di me
Di questa cosa in me che parla

So bene che non bisogna
Ma cosa volete che faccia
La mia bocca si apre e l’anima è là
Che palpita uccello sulle mie labbra

Oh tutto ciò che non dico
Ciò che non dico a nessuno
La sventura è che questo squilla
E sbatte ostinatamente in me
La sventura è che quel che è in me
Anche se nessuno lo sa
Non lasciatemi non lasciatemi
A volte me lo dico a volte

È meglio parlare che tacere

E poi sento inaridirsi
Queste parole di me nella mia saliva
È là la sventura non la mia
La sventura che abbiamo in comune
Spavento degli altri uomini
E che dunque ti ha dato la mano
Essendo certi di ciò che noi siamo

Per paura per paura che tu l’abbia detto
Ciò che non può prendere forma
Ciò che ti abita e prende forma
Almeno che è sul punto
Di sconfiggere il tuo pugno
E la gente Che volete dire
Tu ti senti come ti senti
Stupido di fronte alla gente Chi ero io
Chi ero io da dire Ah sì forse
Che c’è il sole che sta per piovere che bisogna andare via
Dove dunque Anche ciò è troppo
E le trattengo tra i denti
Queste parole della paura che esprimono

Non mi guardate dentro
Che ci sia il sole vi basti
Posso ben dire che c’è il sole
Anche se piove sul mio viso
Credere nel sole quando cade la pioggia
Le parole in me muoiono con tale violenza
Che così violentemente mi feriscono
Le parole che io non formulo
È forse la loro morte in me che morde

La sventura è sapere di cosa
Non parlo a volte
E di cosa tuttavia io parlo

È in noi che dobbiamo tacere

Louis Aragon, da « Le Fou d’Elsa » (traduz. Marcello Comitini)

Il y a des choses que je ne dis a Personne Alors
Elles ne font de mal à personne Mais
Le malheur c’est
Que moi
Le malheur le malheur c’est
Que moi ces choses je les sais

Il y a des choses qui me rongent La nuit
Par exemple des choses comme
Comment dire comment des choses comme des songes
Et le malheur c’est que ce ne sont pas du tout des songes

Il y a des choses qui me sont tout à fait
Mais tout à fait insupportables même si
Je n’en dis rien même si je n’en
Dis rien comprenez comprenez moi bien

Alors ça vous parfois ça vous étouffe
Regardez regardez moi bien
Regardez ma bouche
Qui s’ouvre et ferme et ne dit rien

Penser seulement d’autre chose
Songer à voix haute et de moi
Mots sortent de quoi je m’étonne
Qui ne font de mal à personne

Au lieu de quoi j’ai peur de moi
De cette chose en moi qui parle

Je sais bien qu’il ne le faut pas
Mais que voulez-vous que j’y fasse
Ma bouche s’ouvre et l’âme est là
Qui palpite oiseau sur ma lèvre

O tout ce que je ne dis pas
Ce que je ne dis à personne
Le malheur c’est que cela sonne
Et cogne obstinément en moi
Le malheur c’est que c’est en moi
Même si n’en sait rien personne
Non laissez moi non laissez moi
Parfois je me le dis parfois

Il vaut mieux parler que se taire

Et puis je sens se dessécher
Ces mots de moi dans ma salive
C’est là le malheur pas le mien
Le malheur qui nous est commun
Épouvantes des autres hommes
Et qui donc t’eut donné la main
Étant donné ce que nous sommes

Pour peu pour peu que tu l’aies dit
Cela qui ne peut prendre forme
Cela qui t’habite et prend forme
Tout au moins qui est sur le point
Qu’écrase ton poing
Et les gens Que voulez-vous dire
Tu te sens comme tu te sens
Bête en face des gens Qu’étais-je
Qu’étais-je à dire Ah oui peut-être
Qu’il fait beau qu’il va pleuvoir qu’il faut qu’on aille
Où donc Même cela c’est trop
Et je les garde dans les dents
Ces mots de peur qu’ils signifient

Ne me regardez pas dedans
Qu’il fait beau cela vous suffit
Je peux bien dire qu’il fait beau
Même s’il pleut sur mon visage
Croire au soleil quand tombe l’eau
Les mots dans moi meurent si fort
Qui si fortement me meurtrissent
Les mots que je ne forme pas
Est-ce leur mort en moi qui mord

Le malheur c’est savoir de quoi
Je ne parle pas à la fois
Et de quoi cependant je parle

C’est en nous qu’il nous faut nous taire

Louis Aragon, da « Le Fou d’Elsa »

ARTE – CULTURA – POESIA – Novità Editoriali – Liberandosi dai disinganni con spietata e struggente sofferenza umana. QUARTO GIORNO di MARCELLO COMITINI.

Il blog di Manuel Giuliano – Giornalista indipendente – mi ha dedicato una pagina con una scelta quanto mai accurata e attenta dei versi più significativi di questo mio ultimo libro. Una scelta che conferma, a chi ancora non lo conoscesse, le sue doti di giornalista particolarmente colto e attento agli aspetti emozionali.

Giornalista Indipendente

QUARTO GIORNO di MARCELLO COMITINI – Edizioni Caffè Tergeste 2018. Immagini Courtesy l’autore, Official Instagram Marcello Comitini.

Quarto giorno.pdf

Spietato come per chi spietata è stata la sofferenza che ha ucciso i suoi sogni. Una poesia struggente come spesso obbligano i canoni classici che impediscono cambiamenti e attitudini. Marcello Comitini trae dalla sua esperienza di direttore organizzativo teatrale e di traduttore letterario una volontà di riflettere sulla poesia come espressione libera e senza titolo. “I vagabondi”, “Esercizi di danza”, “La Sposa”, anche un’attenta descrizione dei particolari e delle emozioni diventa nelle strofe di Comitini autentica poetica. Quarto Giorno è un libro non facile da accettare in un sistema attuale di illusioni ripetute se non si è consapevoli e disingannati dalla sofferenza e dalla felicità della vita di tutti i giorni. (m.g.)

QUARTO GIORNO di MARCELLO COMITINI – Edizioni Caffè Tergeste 2018. Immagini Courtesy l’autore.

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Edizione con copertina rigida:       

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