Conosciamo bene (ITA – FR – ENG)

Angelo Cricchi La morte di Sarah Kane

Angelo Cricchi, La morte di Sarah Kane

CONOSCIAMO BENE

Noi uomini senza memoria, sbucati
su questa terra crediamo da sempre,
la conosciamo bene la morte,
noi che dimentichiamo che nostro padre è morto
e il padre di nostro padre
quando stavano per raccogliere le speranze
seminate con tenace disperazione.
La conosciamo bene
perché sentiamo nel sangue il bisbigliare
della sua voce
che fa scoccare le nostre vene
come corde di un’arpa
piegare le ossa come giunchi
irrigidire la nostra carne.
Noi lo sappiamo bene
che chiama
dagli angoli più insospettabili del tempo
e attende con occhi di fuoco
guardando nella nuca
il guidatore che sfida l’aria
e si accoccola ad ogni curva perché l’urto
non gli sia bestiale.
E troppa poca memoria abbiamo
per non saggiare i passi sulle rocce e sui chiodi
dondolando a una corda di cui non vediamo la cima
o per non combattere nudi sul quadrato
agitando le braccia.
E ti chiamiamo dolcissima o terribile,
bianca luna o tenebrosa notte
di un sonno senza fine.
Ma tu chi sei o morte?
Lontananza,
soffio di aquila che cade.

Che nessuno pianga!

*poesia da me scritta nel 1965 (avevo vent’anni) e pubblicata nella raccolta “Un ubriaco è morto” , Misuraca Editore, 1976.

NOUS CONNAISSONS BIEN

Nous, hommes sans mémoire, débouchés
sur cette terre – nous l’avons cru toujours-
connaissons bien la mort,
nous qui oublions que notre père est mort
et le père de notre père
quand ils étaient sur le point de récolter les espoirs
semées avec une tenace désespoir.
Nous la connaissons bien
parce que nous entendons dans notre sang
le murmure de sa voix
qui fait décocher nos veines
comme les cordes d’une harpe
plier nos os comme des joncs
durcir notre chair.
Nous le savons bien
qu’elle appelle
des angles les plus impensable du temps
et attend avec ses yeux de feu
en regardant le nuque
du conducteur qui défie l’air
et s’accroupi à chaque courbe parce que l’impact
ne sois pas bestial.
Et nous avons trop peu de mémoire
pour ne pas tester nos pas sur les rochers et les clous
en nous balançant à une corde dont on ne voit pas le bout
ou pour ne pas combattre nu sur le ring
en agitant nos bras.
Et nous vous appelons doux ou terrible,
lune blanche ou nuit ténébreuse
d’un sommeil sans fin.
Mais qui es-tu, ô mort?
Distance,
souffle de l’aigle qui fond.

Que personne ne pleure!

WE KNOW WELL

We men without memory, popped up
on this earth – we have always believed -,
we know death well
we who forget that our father is dead
and the father of our father
when they were about to reap the hopes
sow with tenacious despair.
We know it well
because we hear the whispering in the blood
of his voice
that makes our veins dart
like strings of a harp
bend bones like rushes
stiffen our meat.
We know it well
she calls
from the most unexpected corners of time
and wait with his fiery eyes
looking at the nape
the driver who defies the air
and crouches at every curve because the impact
let him not be beastly.
And we have too little memory
not to test the steps on the rocks and nails
swinging at a rope whose top we don’t see
or not to fight naked on the ring
waving his arms.
And we call you sweet or terrible,
white moon or dark night
of an endless sleep.
But who are you, oh death?
Distance,
breath of the falling eagle.

That no one cry!

Lettera a Silvia

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Cara Silvia,
Neppure io ritengo Bukowski un maestro di vita.

Ti ho citato quella poesia solo perché ha un tono diverso da quello che tutti divulgano di lui.

Te l’ho citata perché penso che anche Bukowski meriti rispetto e perdono, e perché no?, anche amore, come si può amare un ubriaco che si vede barcollare per strada nel buio della notte.

In fondo siamo tutti ubriachi: ingolliamo la bevanda che più ci serve per superare la nostra stessa vita, per proiettarci in un mondo migliore, un mondo che non esiste, un mondo in cui, se esistesse, l’uomo non potrebbe vivere perché contrario alla sua natura di distruttore.

L’uomo è l’unico essere vivente che per vivere ha bisogno di consumare la terra, di distruggerla in modo irreversibile.

Tutto, tranne l’uomo, si trasforma in qualcosa e trasformandosi dona vita a qualcos’altro, contribuisce all’equilibrio della natura. Anche l’uomo dona vita ma solo a un essere come lui. E crea squilibrio nella natura con il sovraffollamento. La sola spina dunque è l’uomo. Perché?

Per me l’uomo è un grande mistero. Si è creato a immagine e somiglianza di Dio, anche se ipocritamente sostiene che sia stato Dio a crearlo a sua immagine, proprio per giustificare il proprio essere, per potersi dichiarare disubbidiente, debole e perdonarsi i propri delitti.

Pensi che io odi l’uomo?

No, non è possibile attribuirgli la responsabilità di com’è fatto.

Si è fatto da sé?

Forse potrebbe migliorarsi. Ma in tanti secoli non è riuscito a farlo e sta sempre sul punto di tornare indietro (con le guerre) rispetto ai pochi passi che ha fatto (passi che in realtà sono dettati dalla paura: paura di una guerra che potrebbe distruggere tutto indiscriminatamente). La violenza sta sempre alle porte assieme all’odio e alla rabbia, quando esercitarle non fa paura a chi li esercita.

Allora vedi che non si tratta, come scrivi tu, di criticare una società, ma capire la natura umana e perdonarla anche nelle sue espressioni più abiette.

Non è questo forse uno spendersi fino alla follia?

La follia di perdonare sé stessi e gli altri nonostante tutto, di predicare con i miei versi questa comprensione e questo perdono , nonostante gli altri non capiscano. Chi mi ha dato questa sensibilità di comprendere sia il cattolico fervente che l’ateo degno delle pene dell’inferno?

Il dolore. Me lo sono andato a cercare?

O piuttosto non me lo ha dato Dio, conducendomi per una strada colma di asperità?

Non sono un eletto (come qualunque fanatismo richiederebbe che io mi ritenessi).

Sono come un povero rospo sul ciglio di uno stagno, che si è trovato con il carico di avvisare i naviganti e gli abitanti dello stagno, che quello non è il mare in cui credono di vivere.

Dire le cose per come si vedono è criticare? Vedere le limitatezze della vita umana è  pessimismo?

Sono solo quell’ubriaco che dice agli altri ubriachi di stare attenti perché la bevanda da cui ciascuno trae forza non è così innocua come crediamo e soprattutto non dura.

La via della salvezza non tocca a me indicarla e tanto meno insegnarla.

Chi sono io? Sono migliore degli altri?

Spero sempre che qualcuno mi dica grazie credevo d’essere solo e abbandonato nelle mie difficoltà, e invece tu mi dici che tutto è umano e che anch’io sono un umano che soffre come tutta l’umanità.

Sono pochi.

Sarebbero moltissimi se dicessi che tutto è rosa, se infiocchettasi con fiorellini e paroline dolci il vivere quotidiano. Se indicassi, mentendo, la strada della speranza. Ma chi si comporta come me è scomodo a tutti. Gli “amici” che mi seguono sono solo coloro che alimentano quel mio desiderio/speranza di cui dicevo prima.

Se sei giunta a leggere sino a questo punto, mi sembra doveroso e rispettoso ringraziarti per la tua pazienza.

Ti abbraccio e mentre ti abbraccio guardo al di la delle tue spalle e vedo che la tua vita mi conferma nel mio modo di considerare il mondo. E penso che la speranza che aiuta a vivere è la stessa che ha aiutato qualcuno a darsi la morte (per la speranza folle di dominare la vita e non esserne schiavo). La speranza è come il sangue: puoi ignorarla ma lei continua a circolare.

Ne siamo consapevoli entrambi.

Il dono (ITA – FR – ENG)

il dono col

Il dono

Questo ci affidi con le tue mani
gonfie di dolore:
nascere, crescere, morire,
avvolti in un involucro
che strappiamo ad ogni istante
a volte a graffi e morsi
a volte a bocca umida e rossa
di baci o di pietà.

Contiene – lo sappiamo –
lucidi alcuni doni
oscuri e non graditi altri
che in ansia un po’ infantile
spacchettiamo
finché troviamo quello
che ci esplode dentro.
Ahi, non l’amore che desideriamo
né la felicità che si svapora
appena il vento ne dissipa il profumo.
Un dono che deflagra all’improvviso
prima di riuscire a dargli un nome
tra le nostre mani gonfie di dolore.

Le cadeau

Vous nous confiez ceci avec vos mains
gonflées de douleur:
naître, grandir, mourir,
empaqueté dans un’ enveloppe
que nous déchirons à chaque instant
parfois par des égratignures et morsures
parfois avec une bouche humide et rouge
de bisous ou de pitié.

Cela contient – nous le savons –
luisants quelques cadeaux
d’autres obscurs et indésirables
que dans une petite anxiété enfantine
nous dépaquetons
jusqu’à trouver celui
qui explose en nous.
Ah, pas l’amour que nous désirons
ni le bonheur qui s’évapore
dès que le vent dissipe son parfum.
Un cadeau qui explose soudainement
avant de pouvoir lui donner un nom
entre nos mains enflées de douleur.

The gift

You entrust us this with your hands
swollen with pain:
to be born, to grow, to die,
wrapped in a package
that we tear at every moment
sometimes with scratches and bites
sometimes with the a moist, red mouth
of kisses or pity.

This contains – we know it –
glowing some gifts
others obscure and unwanted
that with a little childish anxiety
we unpack
until we find one
that explodes inside us.
Ah, not the love we desire
nor the happiness that evaporates
as soon as the wind dissipates its scent.
A gift that suddenly explodes
before we can give him a name
between our hands swollen with pain.

 

 

 

“Le ferite del linguaggio e dell’anima” recensione di Francesco Casuscelli

Francesco-Casuscelli-web

Il Poeta Francesco Casuscelli

Il Poeta Francesco Casuscelli mi ha dato il piacere di fermare sulla carta i pensieri suscitati dalla lettura della raccolta delle mie poesie «Quarto Giorno». Lo ringrazio infinitamente della sua sensibilità di poeta. 

Ho letto con molto piacere la raccolta di poesie Quarto giorno del poeta Marcello Comitini edizioni Caffè Tergete.
L’incipit della prima poesia è l’espressione migliore per entrare fin da subito nella poetica strettamente intima e umana dell’autore. Un verso che abbraccia con gentile resa visiva tutti gli input emotivi del poeta; qui si attua una fusione umanamente suasiva fra interiorità e corpo verbale.Marcello Comitini

“Una carezza appena della mano sui miei occhi
dalle sue labbra alle mie labbra un soffio lieve
e la vita prende corpo dalle vuote cavità del cuore.”

Nella breve presentazione leggiamo “le poesie che offro sono come un frutto” ed è piacevole cogliere questo frutto assaporandone il suo gusto prendendo in prestito lo sguardo del Nostro. E la vita c’è tutta in questi versi, con le sue tappe lievitate su un credo eticamente solido, socialmente presente, e poeticamente accattivante: saudade, memoriale, affetti, inquietudine, immaginazione e sogno si miscelano fra loro con risultati che, nei momenti di maggiore realismo, ci dicono del profondo coinvolgimento emotivo dell’autore.

Questa poesia nasce da un insopprimibile bisogno di comunicare i propri stati d’animo, le disillusioni i tumulti dell’anima, la guerra di ieri e di oggi, le migrazioni, la crisi, la mancanza di lavoro e le tante colpe dell’umanità. La poesia diviene quindi, il mezzo per agire e migliorare l’uomo con versi che veicolano i sentimenti e le sensazioni che fanno parte della sensibilità che caratterizza un poeta immerso nel suo tempo. L’autore ci dichiara che “il disinganno prima dell’illusione” è il motto del suo esistere, ed è anche “lo sguardo che domina e unifica le poesie e le prose di questa raccolta.”
C’è la memoria del vissuto che parla e dialoga con la parola attraverso la poesia come nei versi di pagina 20:

l’acqua antica che bisogna lasciar scorrere
per permetterle di raggiungere l’eternità del mare

D’altronde l’uomo è come un fiume che ha una sorgente ma poi si forma e si trasforma con i tanti affluenti, con le buone e le cattive azioni come acqua limpida o come acqua reflua, ed ogni fiume ha come obiettivo quello di raggiungere il mare e riversarsi nell’immensità per purificarsi.
L’uomo avanza nella vita attraversa i suoi labirinti e affronta le difficoltà e ancora una volta si serve della poesia per superare gli ostacoli.
“io che resisto al vento pesante come sasso/chiuso in me stesso e nei miei desideri”
Ed anche quando esprime nella poesia il seme: “La mia anima è un seme nella terra del mio corpo.” Si avverte in questi versi il valore spirituale e la sensibilità che migliora l’uomo mentre la parte fisica del corpo è soltanto una parte secondaria come fosse uno strumento.
Sfogliando la raccolta si colgono dialoghi con le altre arti, come la musica, che offre “la forza di guardare al di là della notte”. La danza vista con l’occhio attento del musicista che accompagna le danzatrici nella sala.
La poetica di Marcello è quindi un dialogo continuo con la sua anima, i suoi dubbi, le sue paure, la fragilità dell’uomo e l’incontro con la notte:
“Forse perché la notte è scesa/come un pesante velo sul mio viso o più/ semplicemente è la mia anima stanca/di tanta solitudine.”
Ogni poeta, ogni scrittore lavora su un crinale del linguaggio e della parola che è la sua specifica inquietudine. Per questa ragione i temi della poesia si ripetono come una successione di eventi. In questa raccolta la poesia ha il tema della notte, delle ombre, dell’amore e della solitudine come forme che ritornano a presentarsi nell’accoglienza del verso.
Scrivere consiste nel portare alla luce le ferite del linguaggio, e attraverso di esse far fluire la verità eterna. La scrittura conferisce senso contribuendo a guardare in faccia la vita per sopportare il reale con la sua maschera è liberarci dalle catene per uscire dalla cecità e dall’oscurità della notte.
Alla fine della lettura mi soffermo sul titolo della raccolta e mi appare il significato del Quarto giorno, quello della Creazione in cui Dio creò le stelle, il sole e la luna e quindi il giorno e la notte.

“Con i loro visi rivolti alla paura
e con le mani tese alla pietà
li solleviamo trasportandoli a riparo
dallo sguardo freddo della luna
dalla crudeltà del sole che ha brillato su di loro
dal lungo pianto delle stelle tra le onde.”

Mi piace citare anche questi versi di una poesia dal titolo La tela che parla di guerra e attentati, delle vittime civili innocenti che non sanno di essere in pericolo:

Ma questo è solo un mio triste ricordo di ieri
perché adesso qualcuno dona la morte con più affetto di quanto temiamo.
Con le sue braccia di gomma lascia cadere la maschera d’uomo 
si accinge a guidare fiutando lungo la strada 
il profumo di vita

Una raccolta di poesia con brevi brani di prosa ricca di spunti di riflessione, che ci presenta la realtà e tutte le sue illusioni, con c’è speranza solo la vita con tutta le sue inquietudini e le sue maschere. Una poesia che ci pone delle domande, ci porta a riflettere sul senso di questa vita ed è quindi un messaggio che scuote l’anima e ci induce a cambiare.

“C’è qui il tacito presupposto che il disinganno può liberare l’uomo.”

16/03/2019

Francesco Casuscelli

 

 

 

 

 

 

“Broccato prezioso” recensione di Giuliana Sanvitale

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Giuliana Sanvitale

Una lettura in anteprima della Poetessa Giuliana Sanvitale
della silloge ancora inedita «Ritorno: un romanzo senza trama».

Immergersi nella lettura dei versi di Marcello Comitini è come scivolare lentamente tra i fondali di un mare che ti abbraccia e ti seduce con la varietà cromatica dei suoi doni. Nostalgia per un Paese abbandonato sua sponte e da cui al contempo si sente abbandonato, o meglio non riconosciuto. Una Catania e una sicilianità che danzano tra i versi, si fanno prepotenti in alcune liriche, declinano malinconicamente in altre.
Nostalgia per l’amore di donne la cui presenza-assenza ancora affascina, pur nella consapevolezza che non le amerebbe più come in passato ché il Tempo ha deposto la sua patina su tutto e infine si rincorre solo il ricordo spesso idealizzato dei nostri giorni giovani.
Tra madrepore, coralli, relitti di antichi velieri appaiono scrigni ricolmi di versi di autentica poesia, offerta attraverso metafore originali di alta ispirazione poetica. Versi che trasudano spesso una sensualità quasi tangibile, mai tuttavia banale o volgare.
Poesia, quella di Marcello Comitini, non sempre di facile lettura ( nel senso che non ama uno sguardo superficiale e/o distratto), profondissima nei sentimenti, densa di emozioni. Poesia che si avvale di perfezione stilistica, che assembla le parole in un’opera che avvince anche quando il sentimento sanguina e si crogiola nel suo dolore, conscio dei limiti umani tra cui si imbozzola ripetutamente, persuaso che la perfezione è a volta lontana e l’ascesa crea troppa sofferenza.
Poesia che stilla verità da ogni sillaba, una verità cui il Poeta ha confezionato un abito di broccato finissimo e prezioso.
12/04/2019

Giuliana Sanvitale

Dagli un nome (ITA – FR – ENG)

Dagli un nome Laura Zago eppure sono più del nulla

Laura Zago in “Eppure sono più del nulla”

Dagli un nome

Tra il tuo volto chiuso nel dolore
– gli occhi ad accettare un’impossibile vita –
e la maschera che ti cammina accanto
illuminata da un segreto amore
c’è l’ombra
della tua bocca colma di parole
di singhiozzi repressi e una mano al petto
a trattenere il velo che protegge
la nudità della tua anima.
Se una voce odi mentre il vento cade
nel ricordo di un’alba che ti scaldava il ventre
di giovani colori e di profumi
il fuoco della sera ti trascina lontana
dalle finestre spente della casa.
Lungo le strade tra campi abbandonati
che si perpetuano nel buio all’infinito
torna a guardare indietro e dai un nome
al sentimento che ti brucia dentro.
Chiamalo angoscia, sconfitta abbandono
perdita, rinuncia, dagli un nome e un viso
che si trasformi in carne e sangue, che perisca
e porti via con sé la maschera e l’ombra.

da Terra Colorata, 2014

 

Donnez lui un nom

Entre ton visage fermé dans le douleur
– les yeux à accepter une vie impossible –
et le masque qui marche à vos côtés
illuminé par un amour secret
il y a l’ombre
de ta bouche pleine de mots
de sanglots réprimés et une main sur ta poitrine
pour retenir le voile qui protège
la nudité de ton âme.
Si vous entendez une voix alors que le vent tombe
dans la mémoire d’une aube qui réchauffait votre ventre
de jeunes couleurs et de senteurs
le feu du soir vous entraîne loin
des fenêtres éteintes de la maison.
Le long des routes entre champs abandonnés
qui se perpétuent dans le noir à l’infini,
regardez à nouveau en arrière et donnez un nom
au sentiment qui vous brûle à l’intérieur.
Appelez ce angoisse, défaite, abandon
perte, renoncement, donnez à ce un nom et un visage
qui se transforme en chair et en sang, qui périt
et enlève avec soi le masque et l’ombre.

 

Give him a name

Between your face closed in pain
– the eyes to accept an impossible life –
and the mask that walks beside you
illuminated by a secret love
there is a shadow
of your mouth full of words
of stifled sobs and a hand on your chest
to hold back the veil that protects
the nakedness of your soul.
If you hear a voice while the wind falls
in the memory of a dawn that warmed the your belly
of young colors and scents
the evening fire drags you away
from the dark windows of the house.
Along the roads between abandoned fields
that are perpetuated in the dark to infinity
you look back again and give a name
to the feeling that burns you inside.
Call it anguish, defeat, abandon
loss, renunciation, give him a name and a face
who turns into flesh and blood, who perishes
and takes away the mask and the shadow.

Acqua di colonia – Eau de Cologne (FR – ENG)

Acqua Colonia ex Giò

Acqua di colonia

Nella penombra della stanza un profumo stranamente dolce
lieve come un sospiro un lamento di piacere soffocato,
un ansimare di due bocche che si cercano
e un pensiero d’amore sale alle mie labbra.
Non credere mi fa lei sorridendomi
carezzandomi il viso chinandosi a spianare
le pieghe delle lenzuola
è l’odore di un passeggero
un clandestino che sta per scendere mentre la nave
trova rifugio tra le braccia dell’orizzonte.

 

Eau de Cologne (FR)

Dans la pénombre de la pièce un parfum étrangement doux
léger comme un soupir un gémissement de plaisir étouffé,
un halètement de deux bouches qui se cherchent
et une pensée d’amour monte à mes lèvres.
Ne crois pas, elle me dit en souriant
caressant mon visage, se penchant pour lisser
les plis des draps
c’est l’odeur d’un passager
un sans-papiers sur le point de descendre alors que le navire
trouve refuge dans les bras de l’horizon.

 

Eau de Cologne (ENG)

In the dim light of the room a strangely sweet perfume
light as a sigh a groan of muffled pleasure,
a panting of two mouths looking for each other
and a thought of love rises to my lips.
Do not believe, she says to me smiling
stroking my face, leaning over to smooth
the folds of the sheets
it’s the smell of a passenger
a stowaway about to get down while the ship
find refuge in the arms of the horizon.

 

 

Seminare a mano – Semer à la main – To sow by hand

Guttuso-Renato---Contadini

Renato Guttuso, Contadini, 1951 (museo  di Genova)

 

A volte mi sembra di essere uno di quei tanti campagnoli che vivono nella semplicità dei loro tuguri. Uno che non ha saputo trasformare la sua fatica in processo industriale ed è rimasto a seminare a mano gettando con gesti di una volta i semi nei solchi tracciati con tanto sudore. I suoi vicini attraversano le loro proprietà con indosso gli abiti più sgargianti e adatti a celebrare le loro capacità, le loro bravure, seduti su enormi trattori o su potenti trebbiatrici per raccogliere i prodotti dei loro meccanici lavori. O passeggiano orgogliosi al riparo delle loro serre riscaldate, dove quel ch’è germogliato è irrorato automaticamente, protetto da ogni imprevisto della natura. O suggono il latte dalle mucche con bocche automatiche cinte di labbra di gomma. E tutti intorno ad ammirarli applaudendo al loro apparire e a quel saper fare che ha trasformato un uomo in miracolo. Io rimango in disparte a guardare appoggiato alla mia vanga, molando il filo tagliente della falce, le punte aguzze del mio piccolo aratro, togliendo il fango dagli angoli più nascosti del vomere. Con gli occhi verso il cielo temendo e sperando che almeno il dio dalla zampa caprina si segga ad ascoltare i miei lamenti. Sarà ubriaco, certo. Guarderà le capre con occhio concupiscente, si gratterà in mezzo al pelo con gesti volgari come solo un ubriaco sa fare, barcollando e sghignazzando. Ma sono certo che  elogerà i miei versi, credendo che inneggino al vino e alla vita, scambiando per canto i miei pianti e per pacche sulle spalle i colpi di vanga nei solchi aridi dei miei campi. Gli dirò guarda tu che sei seguito da Menadi sfrenate come i miei versi s’insinuano tra la pieghe del cuore e crescono al buio ricoperti da una coltre di neve e quando nessuno più si ricorda di loro sbucano con teneri punte, s’arrampicano lungo i giorni e maturano rossi grappoli d’uva. Tu adesso raccoglili, spremili, calpestali con i tuoi piedi aguzzi, finché non sgorghi il dolore e bagni gli occhi dei ciechi come pioggia che rigenera la terra. Allora i miei versi mostreranno il loro vero volto illuminato dalla verità.

Semer à la main
Parfois, il me semble que je suis un de ces nombreux paysans qui vivent dans la simplicité de leurs taudis. Celui qui ne a pas su comment transformer son travail en processus industriel et est resté à semer à la main en lançant les graines avec des gestes du passé dans les sillons tracés avec tant de sueur. Ses voisins traversent leurs propriétés habillés avec des vêtements les plus criardes et appropriés pour célébrer leurs capacités, leurs compétences, assis sur d’énormes tracteurs ou sur de puissantes batteuses pour collecter les produits de leurs travaux mécaniques. Ou alors, ils marchent fièrement dans leurs serres chauffées, où ce qui a germé est arrosé automatiquement, à l’abri de tout imprévu de la nature. Ou sucent le lait des vaches avec des bouches automatiques ceintes des lèvres en caoutchouc. Et tout le monde les admire autour en applaudissant leur façon d’apparaître et le savoir-faire qui a transformé un homme en miracle. Je reste à l’écart en regardant, appuyé sur ma pelle, moulant le fil tranchant de la faux, les pointes de ma petite charrue, en enlevant la boue des coins cachés du soc. Les yeux tournés vers le ciel, craignant et espérant qu’au moins le dieu avec la patte de chèvre s’assiéra pour écouter mes plaintes. Il sera saoul, bien sûr. Il va regarder les chèvres avec un œil concupiscent, il va se gratter au milieu des poils avec des gestes vulgaires, comme seul un home ivre peut le faire, chancelant et ricanant. Mais je suis sûr qu’il louera mes versets, croyant qu’ils célèbrent le vin et la vie, en prenant mes cris pour chant et pour tapes sur les épaules les coups de pelle dans les sillons secs de mes champs. Je lui dirai regardez, vous qui êtes suivis par des ménades sans retenue, comment mes vers s’insinuent dans les plis du cœur et grandissent dans l’obscurité, recouverts d’un manteau de neige et quand personne ne se souvient d’eux, ils sortent aves ses pointes tendres, grimpent les jours et mûrissent des grappes rouges de raisins. Maintenant, récoltez-les, pressez-les, foulez-les à vos pieds aigus, jusqu’à ce que la douleur jaillisse et mouille les yeux de l’aveugle comme une pluie qui régénère la terre. Alors mes vers montreront leur vrai visage illuminé par la vérité.
To sow by hand
Sometimes I seem to be one of those many country people who live in the simplicity of their hovels. The one who did not know how to turn his work into an industrial process and remained sowing by hand throwing the seeds with gestures from the past in the furrows traced with so much sweat. Her neighbors cross their properties, dressed in the most garish and appropriate garments to celebrate their abilities, skills, sitting on huge tractors or powerful threshing machines to collect the products of their mechanical work. Or, they walk proudly in their heated greenhouses, where what has germinated is sprinkled automatically, protected from all the unexpected of nature. Or suck the milk from the cows with automatic mouths wrapped by rubber lips. And everyone admires them around applauding their appearance and the know-how that has turned a man into a miracle. I stay away watching, leaning to my shovel, sharpening the sharp wire of the scythe, the tips of my little plow, removing the mud from the hidden corners of the plow. With eyes looking to the sky fearing and hoping that at least the god with the goat’s paw will sit and listen to my complaints. He will be drunk, of course. He will be drunk, of course. He will look at the goats with a concupiscent eye, he will scratch himself in the middle of the hair of body with vulgar gestures like only a drunkard can do, staggering and laughing. But I am sure that he will praise my verses, believing that they celebrate wine and life, taking my cries for song and for pats on the shoulders the spade shots in the arid furrows of my fields. I will tell, look, you who are followed by maenads without restraint, how my verses creep into the folds of the heart and grow in the dark, covered with a cloak of snow and when no one remembers them, they go out with their tender points, climb the days and ripen red bunches of grapes. Now harvest them, squeeze them, tread them at your sharp feet until the pain gushes out and wets the blind man’s eyes like a rain that regenerates the earth. Then my verses will show their true face illuminated by the truth.