Il rubinetto d’aria

Marcello Comitini, Rubinetto d'aria, graphicpaintAlle cinque e trenta già tutti si davano da fare uscendo dalla camera da letto e rientrandovi frettolosamente. Quando arrivò Antonio Capasso nessuno notò che portava in mano una scatoletta bianca, di cinque centimetri per ogni lato e con una levetta sulla faccia superiore che si muoveva come il braccio di una bilancia ma su due posizioni soltanto, con uno scatto, senza oscillazioni. Nessuno notò quella scatoletta. Neppure Antonio a dire il vero era stato notato: mia madre urlava assistita da due levatrici. Stavo nascendo io. Era il quattro settembre del 1704.

Sì, lo so, sono passati moltissimi anni da allora, eppure il cervello e la memoria mi funzionano egregiamente. Voi state qui davanti a me e mi guardate con l’aria malinconica di chi sta assistendo all’ultima scena di un film, un po’ dispiaciuto di dover abbandonare una storia che lo ha commosso. Vi ho chiamati io e voi siete venuti da ogni angolo del mondo con quel segreto pensiero. Ma non siamo ancora all’ultima scena, ve lo assicuro. Almeno non voi.

Dunque Antonio entrò e mostrò a mio padre un po’ disattento, la scatoletta dicendogli:

«È un rubinetto. »

«È – continuò Antonio – come un rubinetto normale che lo tocchi e ferma il flusso dell’acqua.»

Mio padre lo guardò di traverso mentre mia madre lanciava un urlo più acuto e più lungo. Sapeva le strane idee che giravano in mente ad Antonio, ma quella proprio non la capiva.

«A parte che i rubinetti sono d’ottone,  non li tocchi come vedo che fai con questo coso, e li regoli con la manopola che hanno in cima, ma da questo coso esce l’acqua? »

«No, non esce l’acqua»

«E allora a che serve? »

«Da una parte entra l’aria ed esce dall’altra parte».  E gli mostrò due fori praticati su due facce laterali opposte. E spostando l’indice dall’uno all’altro foro:

«Da qui entra e da qui esce. Ma se tocchi questa levetta – e così dicendo pigiò sulla levetta che emise un clic secco – non entra più aria. O non esce? Forse non ne entra e non ne esce. E forse non è solo aria quella che entra e esce ma tutto ciò che non si vede»

Mio padre ebbe un sorriso di compassione ma anche di affetto per quel suo tenero amico d’infanzia.

«Senti, Antonio, l’unica cosa simpatica di questo aggeggio è il tic che si sente ogni qual volta si tocca la levetta.  Lascialo qua. Glielo darò a mio figlio per giocarci, tra qualche mese. A meno che tu – e qui mio padre ebbe un tono esageratamente indulgente – non debba ancora lavorarci su.»

Antonio toccò la levetta e la rimise a posto, cioè nella posizione che permetteva all’aria e a tutto ciò che non si vedeva, di entrare e di uscire. Mia madre aveva smesso di gridare, ma adesso ero io che gridavo con gli occhi chiusi mentre mi toglievano di dosso con una spugna bagnata le ultime tracce di una recente felicità, cancellata troppo presto da una spinta verso l’ignoto, da uno scivolamento verso una luce che intuivo da un certo chiarore doloroso che mi attraversava le palpebre in mezzo alle lacrime. Mi avvolsero in una camiciola e mi consegnarono tra le braccia di mia madre.

« No, è finito, è un congegno molto semplice, non ho altro da farci» rispose Antonio, consegnando nelle mani di mio padre la scatoletta. Poi si girò e andò via con lo sguardo perduto nel vuoto e il passo silenzioso.

Non ricevetti mai quella scatoletta. La scoprii per caso un giorno, come tutte le cose dimenticate, avvolta in un velo di carta celeste, in fondo al cassetto della scrivania di mio padre. Sul velo di carta c’era scritto, con calligrafia a me sconosciuta e con un inchiostro reso marrone dal tempo:

«Nascere, crescere, morire…

È tutto qui il dono ricevuto?

Dimenticavo vivere ».

 

Avevo sedici anni. Non cercavo nulla, in quel cassetto. Nell’altra stanza mio padre ansimava in preda alla febbre. La casa era silenziosa. Il sole di fine settembre entrava dalle finestre insieme all’aria dolcemente fresca e disegnava sul pavimento rettangoli di luce accecante che si riverberavano su tutte le pareti. Io stavo aspettando nello studio di mio padre perché mi avevano raccomandato di non allontanarmi.. Per ingannare l’attesa rovistavo nei cassetti che mi erano stati sino ad allora interdetti. Intimorito dalla libertà che mi stavo concedendo, rovistavo senza fare rumore. C’erano nel cassetto una miniatura di mia madre da giovane, una di mio padre, il ritratto di un cane smarrito durante una gita, il disegno a matita di una casa di campagna rovinata dal tempo. E la scatoletta. La presi tra le dita e la sentii pesante, un peso che mi opprimeva il cuore e tuttavia dava la sensazione di essere qualcosa che stesse al di là di ogni corporea realtà. Spinsi quella piccola leva che emise il suo breve clic. La guardai chiedendomi a cosa servisse e nel silenzio avvertii che l’ansimare di mio padre era cessato.

«Vieni – mi disse una voce. – Coraggio».

Era Antonio, l’amico di mio padre, che mi poggiava le mani sulle spalle e mi guidava verso la camera da letto.

Mi chiedevo quale coraggio ci volesse. La conoscevo bene l’espressione di quel viso: era la stessa di due anni prima, quella che aveva mia madre quando la vidi distesa sul letto con una benda che le girava intorno al capo per trattenerle il mento. Non ci voleva coraggio, mi dissi con caparbia violenza. Ma non sapevo cosa ci volesse. Voltai le spalle al letto. Antonio mi tolse dalle mani la scatoletta che tenevo sulle palme aperte senza più pensare a lei. Uscii fuori casa a piangere.

Dopo dieci anni e tre mesi dalla morte di mio padre mi ricordai di quella giornata luminosa e terribile e anche di quella in cui toccò a mia madre lasciarmi. E mi tornò alla mente il clic che aveva preceduto ogni dolore, quello di nascere e quello di morire. Solo adesso mi ricordai di averlo già sentito tra le dita di mio padre il clic secco, nervoso, subito confuso alla sua voce che diceva piangendo è morta. Andai a quel cassetto, presi tra le dita la scatoletta e mi sedetti davanti la finestra del soggiorno a guardare il cielo. Era per me uno stupore scoprirla più pesante di come la ricordassi. Pioveva. Mia moglie era fuori a sbrigare delle faccende. Tra le mani rigiravo da ogni parte la scatoletta, la toccavo come avevo già fatto le altre volte, come le altre volte ne seguivo gli spigoli, ne sentivo la consistenza. La carezzavo come si carezza un animaletto impagliato, con il ventre rigonfio e gli occhi di vetro che guardano nel vuoto. Antonio mi aveva spiegato che era un rubinetto d’aria.

«Entra e esce, mi aveva spiegato, l’aria entra e esce. Se tocchi la levetta, mi aveva detto, esce solo quella che è rimasta dentro ma non entra più nulla. O forse non entra e non esce. »

Misi un dito su uno dei due fori e spinsi con l’altro sulla levetta.

Il rumore della porta d’ingresso alle mie spalle coprì il suono del clic ma sotto il polpastrello sentii lo scatto. Mi chiesi per un attimo se quello scatto avesse chiuso o aperto il rubinetto d’aria. Sorrisi a me stesso della mia domanda senza senso e vidi che anche mia moglie sorrideva. Mi veniva incontro con passo svelto, quasi volando:

«Sono incinta!» – disse.

La strinsi tra le braccia. Pensai che forse avevo messo la levetta nella posizione aperta, quella in cui l’aria e tutto ciò che non si vede erano liberi di entrare e di uscire. Pensai ad Antonio che mi diceva coraggio, pensai all’ansimare di mio padre, a mia madre con la fascia che le avvolgeva il volto per trattenerle il mento, al figlio che stava per nascere, alla mia stupidità di collegare il clic alla notizia che mi aveva dato mia moglie. Ma per la prima volta riflettei che spesso avevo toccato la leva senza sapere da che parte l’aria e tutto ciò che non si vede entra e esce, da che parte stesse la morte e da che parte la vita. Durante tutti gli anni in cui ho schiacciato a caso la levetta, sono stato sempre più invaso da una sensazione di pesante ebbrezza in cui mi sembrava che la vita dovesse lottare parecchio per non soccombere.

Non conoscevo il verso della vita. Ma anche se lo avessi conosciuto, avrei lasciato la levetta dalla parte in cui l’aria e tutto ciò che non si vede entra e esce? Esce per andare dove? O quel che entra è la nascita e quel che esce è la morte? Il click della levetta non permette altro che la circolazione della vita, scandendone l’inizio e il termine!

Avevo la sensazione di riuscire a capire sempre più il senso di quelle righe scritte sul foglio che avvolgeva la scatoletta: dimenticavo vivere.

Forse sarebbe stato meglio chiuderla, quella levetta, fermare tutto ciò che non si vede, non farlo più entrare né uscire. Lasciarlo nell’eternità del non accaduto. Ma come? Come avrei potuto bloccarla per sempre se un desiderio irrefrenabile dopo la gioia della nascita di mio figlio mi spingeva a provocare lo schiocco del clic?

Vedevo nella scatoletta un sensibilissimo meccanismo che mi trascinava nel mistero della sua semplicità. Ero rimasto il ragazzo che aveva frugato nel cassetto e aveva schiacciato la leva con incoscienza, senza un attimo di riflessione sul senso delle parole lette sulla carta che l’avvolgeva, senza saper collegare causa ed effetto, senza neppure pensare a una coincidenza.

Alla nascita di mio figlio, una parvenza di attenzione, anche se contraddittoria, era sorta in me, ma subito cancellata dalla mia superficialità di ritenere la sua nascita come una piccola increspatura sulla superficie dell’esistenza, o almeno della mia esistenza.

Continuavo a toccare quella leva, finché un senso di profondo piacere si impadronì di me. Quel breve e secco scatto ubbidiente al tocco delle mia dita, mi dava la vertigine di un’esperienza reale. Da qualche parte a me vicina o lontana qualcuno nasceva o moriva. Aveva senso chiedersi chi fossero costoro? Sapevo per certo che io generavo il movimento della vita, ne stabilivo l’inizio e la fine. Ero Dio.

E siete venuti voi al mondo e altri sono andati via. Anche Antonio è andato via, e anche dei giovani e anche dei bambini. Altri hanno iniziato la loro vita e l’hanno compiuta. Mia moglie, mio figlio, i figli di mio figlio e le loro compagne e i loro compagni. Io sono rimasto a vegliare sulle nascite e sulle morti. Per anni ho giocato a lungo. È stato come estrarre e riporre balocchi da una grande cassa, un sentir guizzare dentro di me scintille di gioie e di dolori. Mi sono sentito Dio e Morte.

La scatoletta è questa davanti ai vostri occhi sgranati dal terrore che io la tocchi e ne abbassi la levetta. Adesso sapete da cosa dipende la vostra vita o la vostra morte. Ma state pur tranquilli. Vi ho già detto che non è l’ultima scena di un film. Ho deciso di liberarmene, di uscire da questo gioco crudele. Avrei potuto consegnarla a uno di voi che adesso schiaccerebbe la levetta e prenderebbe il mio posto. So che nessuno è convinto che sia un ruolo da schiavi, che sia una fonte di infelicità profonda. Nessuno di voi conosce la disperazione di dover toccare la levetta e non sapere se sta decidendo la vita o la morte.

Come un cane alla catena, ogni giorno ci si sente più lontani dall’amore e dalla pietà, estranei alla stessa vita. Estranei al mondo, ciechi esecutori. Un potere che sfugge alla volontà. Lasciare cadere o evaporare piccole gocce sulla vastità del mondo, piccole vite o piccole morti, senza alcuna possibilità di trascinare questo potere verso la vita o verso la morte, ma che sia uno, solo e definitivo. Un potere che rende vittime e schiavi.

Un briciolo di pietà verso me stesso mi ha spinto a continuare il lavoro di Antonio. Allora era impensabile, ma adesso un piccolo congegno, un circuito che esegue calcoli di probabilità e fa scattare la levetta mi ha sostituito. Alla cieca, com’è tutto ciò che accade dentro l’uomo, com’è la vita. Paura e piacere, gioia e dolore, amore e odio. E giungerà all’improvviso il secco schioccare del clic. All’improvviso, da adesso in poi, anche per me.

A chi appartengo

Beatrice Borroni, LE APPESE 02,2015

Nelle prime luci dell’alba la stanza

tra i rami e le foglie intrecciati

ha le pareti del corallo raggiante nel cielo.

Non un battito d’ali né il frusciare del vento

ma occhi di donne poggiate

come colombe in silenzio sui rami.

Pietra o radice nell’erba

a voi guardo smarrito.

A lei che distesa all’ombra dei sogni

nel precario equilibrio di una vita d’incanto

illanguidisce lo sguardo in dolci memorie

a te che la guardi e un pensiero d’amore smarrisce

nella luce lontana i tuoi occhi.

A chi appartengo, io che entrambe vi guardo

a lei che perduta nei sogni non vede

al di là di se stessa

o te che la guardi con occhi d’amore

e chiedi pietà del tuo struggente silenzio?

Non un battito d’ali né il frusciare del vento.

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Il quadro è della pittrice Beatrice Borroni dal titolo Le appese 2.

Undici riflessioni sul NO del popolo greco

Alain Badiou

13 Nov 2009, Paris, Image by Eric Fougere

E’ urgente internazionalizzare la causa del popolo Greco. Solo la cancellazione totale del debito darà un colpo ideologico all’attuale sistema europeo.

  1. il “no” di massa del popolo greco non significa un rifiuto dell’Europa. Significa il rifiuto dell’Europa dei banchieri, del debito infinito e del capitalismo mondializzato.
  1. Una parte dell’opinione nazionalista, come la destra estrema, ha votato anch’essa “no” alle esigenze delle istituzioni finanziarie? Al diktat dei governi reazionari europei? Ebbene, noi sappiamo che ogni voto puramente negativo è in parte confuso. L’estrema destra rifiuta da sempre alcune cose che rifiuta anche l’estrema sinistra. Solo l’affermazione di ciò che vuole è chiaro. Ma tutti sanno che ciò che vuole Syriza è del tutto all’opposto di ciò che vogliono i nazionalisti e i fascisti. Il voto non è dunque un voto “oscuro” contro le esigenze antipopolari del capitalismo mondializzato e dei suoi servitori europei. E’ anche un voto che, per il momento, dà fiducia al governo Tsipras.
  1. Che questo accada in Grecia, e non come sarebbe normale, in ogni parte d’Europa, indica che la “sinistra” europea è in uno stato di coma avanzato: François Hollande?, La social democrazia tedesca? Il PSOE spagnolo? Il Psok greco? I laburisti inglesi? Tutti questi partiti sono, in maniera evidente, dei gestori del capitalismo mondializzato. Non c’è, non c’è più una “sinistra” europea. C’è una piccola speranza, ancora poco chiara, sotto il profilo delle assai nuove formazioni politiche, legate ai movimenti di massa contro il debito e l’austerità, come per esempio Podemos in Spagna e Syriza in Grecia. I primi, al momento, rifiutano la distinzione tra “destra” e “sinistra”. Anch’io la rifiuto. E’ una distinzione che appartiene al vecchio mondo della politica parlamentare, che va eliminata.
  1. La vittoria tattica del governo Tsipras è un incoraggiamento per tutte le nuove proposte nel campo politico. Il sistema parlamentare e i suoi partiti di governo sono in crisi endemica, già da decenni, addirittura dagli anni ’80. Che Syriza abbia riportato in Grecia dei successi, anche se provvisori, fa parte in Europa di quello che si definisce “risveglio della Storia”. Ciò non può che aiutare Podemos, e tutto quel che verrà, dopo e altrove, sulle rovine della democrazia parlamentare classica.
  1. Tuttavia, la situazione in Grecia resta molto difficile e molto fragile. E’ adesso che iniziano le vere difficoltà. Può darsi che, alla luce del successo tattico referendario, vengano posti in posizione di accusati storici le Merkel, gli Hollande e altri detentori di potere del capitale europeo costringendoli a modificare le loro esigenze. Ma bisogna agire senza troppi riguardi. Il punto cruciale ormai è di sapere se il voto per il “no” si amplierà in un potente movimento popolare, sostenendo e/o esercitando delle vivaci pressioni sullo stesso governo.
  1. Sotto questo profilo, come giudicare oggi il governo Tsipras? Cinque mesi addietro aveva deciso in favore della negoziazione. Ha voluto guadagnare del tempo. Ha voluto essere in grado di dire che tutto era stato tentato per giungere a un accordo. Io avrei preferito che egli avesse iniziato diversamente, con un appello immediato alla mobilitazione popolare massiccia, prolungata, coinvolgente milioni di persone, con la principale parola d’ordine dell’abolizione completa del debito. E inoltre con una lotta intensa agli speculatori, la corruzione, i ricchi che non pagano imposte, gli armatori, la Chiesa… Ma io non sono greco e non voglio dare lezioni. Non so se un’azione così mirata sulla mobilitazione popolare, un gesto in qualche modo dittatoriale, sarebbe stata possibile. Per il momento, dopo cinque mesi di governo Tsipras, c’è un referendum vittorioso, e la situazione resta completamente aperta. E’ già molto.
  1. Io continuo a pensare che il colpo ideologico più duro che si possa portare contro il sistema europeo attuale è rappresentato dalla parola d’ordine della cancellazione totale del debito greco, debito speculativo di cui il popolo greco è perfettamente incolpevole. Obiettivamente, questa cancellazione è possibile: molti economisti, che non sono proprio dei rivoluzionari, ritengono necessario che l’Europa annulli il debito greco. Ma la politica è soggettiva, e in ciò consiste la differenza con l’economia pura. I governi vogliono assolutamente impedire una vittoria di Syriza in questo campo. Dopo una tal vittoria, ci sarebbe Podemos e forse altre vigorose azioni popolari nei grandi paesi europei. Inoltre i governi, spinti dalle lobi finanziarie, vogliono punire Syriza, punire il popolo greco, piuttosto che regolare il problema del debito. Contro coloro che vogliono questa punizione, i mancati pagamenti rimangono la migliore procedura, qualunque siano i rischi. L’Argentina l’ha praticata diversi anni addietro e non è morta, anzi.
  2. A proposito della Grecia si discute ovunque di una sua “uscita” dall’Europa. Ma in verità sono i reazionari europei che impugnano come un’arma questa questione. Sono coloro che fanno del “Grexit” una minaccia imminente. Vogliono impaurire le persone. La linea vera, che sino a oggi è presente in Syriza come in Podemos, è quella di dire “noi restiamo nell’Europa. Vogliamo solo, com’è nostro diritto, cambiare le regole di questa Europa. Vogliamo che l’Europa cessi di essere la cinghia di trasmissione tra il capitalismo liberale mondializzato e il permanere dei popoli nella sofferenza. Vogliamo un’Europa del popolo e realmente libera”. Tocca ai reazionari dire cosa ne pensano sull’argomento. Se vogliono cacciare la Grecia, che ci provino: su questo punto, a loro la palla.
  3. Sullo sfondo le paure geopolitiche: e se la Grecia si rivolgesse verso altri invece che verso i padri e le madri inesistenti europei? Allora affermerei che tutti i governi europei conducono una politica estera indipendente. Coltivano delle amicizie assolutamente ciniche, come Hollande per l’Arabia Saudita. Contro le pressioni alle quali è sottoposta, la Grecia può e deve avere una politica assolutamente libera. Poiché dei reazionari europei vogliono punire il popolo greco, questi ha il diritto di cercare sostegni esterni, per diminuire o impedire questa punizione. La Grecia può e deve rivolgersi alla Russia, verso i Balcani, vero la Cina, verso il Brasile, e anche verso l’antico nemico storico, la Turchia.
  4. Ma qualunque siano le soluzioni, la situazione della Grecia sarà definita dai Greci stessi. Il principio del primato delle cause interne si applica a questa situazione. Ora, i rischi sono tanto più considerevoli dal momento che Syriza non ha che un potere formale. Già, lo si sente, lo si sa, delle vecchie forze politiche tramano dietro le quinte. Dal momento che il potere di Stato, acquisito in condizioni regolari e non rivoluzionarie, è rapidamente corruttibile, ci si deve porre la questione: Syriza controlla completamente la polizia, le forze armate, la giustizia, l’oligarchia economica e finanziaria? Certamente no. Il nemico interno esiste ancora, quasi integro e potente, ed è sostenuto nell’ombra dai nemici esterni, compresi i burocrati europei e i governi reazionari. Il movimento popolare e le sue organizzazioni di base devono costantemente sorvegliare gli atti del governo. Ancora una volta il “no” del referendum non sarà una vera forza se non sarà mantenuto in essere con delle forti manifestazioni indipendenti.
  5. Un aiuto internazionale popolare, manifestante, mediatizzato, incessante, dovrà appoggiare con tutte le forze la possibile levata greca. Oggi ricordo che il 10% della popolazione mondiale possiede l’86% delle ricchezze disponibili. L’oligarchia capitalista mondiale è molto ristretta, molto concentrata, molto organizzata. Di fronte a lei, i popoli frammentati, senza unità politica, chiusi nelle frontiere nazionali, risulteranno deboli e pressoché impotenti. Tutto oggi si gioca a livello mondiale. Trasformare la causa greca in una causa internazionale di forte valore simbolico è una necessità, quindi un dovere.

Alain BADIOU Filosofo da libèration de l’8 luglio 2015 – traduzione Marcello Comitini