
Molti pubblicano sui propri blog versi sciatti, privi di ogni valore poetico, frutto di sfoghi personali (in prevalenza sospiri d’amore, di delusioni amorose o invettive contro la società e il modo di vivere odierno) e senza che in nessuno di essi traspaia un benché minimo sforzo diretto a smussare le asperità delle parole, la grossolanità delle frasi, l’ovvietà delle immagini o del pensiero. Lo fanno perché ritengono che il valore delle poesie sia esclusivamente l’ispirazione, senza riflettere abbastanza se il contenuto risponde a canoni riconosciuti di stile e armonia, che renderebbero i contenuti condivisibili a livello artistico-letterario o almeno che seguano una direttrice ascendente, e comunque in movimento, verso il centro dell’essere umano.
È pur vero che ci sono stati nella storia della poesia autori, che hanno spezzato, con il loro modo di comporre, proprio quei canoni da me appena chiamati in causa.
Ma quanta riflessione e quanto studio hanno preceduto, e poi accompagnato, la loro capacità di stravolgere quei canoni?
E quanti di coloro, che hanno tentato quella strada, sono stati riconosciuti validi poeti? Soltanto coloro che sono riusciti a mantenere, o a ricreare, l’armonico equilibrio tra forma e contenuti, che è la sola condizione in grado di chiamare chi legge al centro di sé stesso, della propria persona e di mostrargli i legami con l’essenza del vivere.
Chiedersi cosa sia la poesia è troppo?
Certamente non è una risposta facile. Ma chi scrive dovrebbe almeno una volta tentare di rispondere. Scoprirebbe che uno degli elementi che compongono il poetare consiste nella ricerca, continua, sofferta, a volte disperata, di uno stile, e che lo stile è composto dalla personalità dello scrivente, dalla sua capacità di oggettivare la fantasia, il sentimento in parole che cantano, individuare e “sentire in sé“ argomenti che costituiscano per lo meno un annuncio dell’accadere di un qualcosa con angoscia o con gioia, lo schiudersi di un segreto d’amore divino o umano, lo sguardo muto dell’uomo che guarda il sole, la terra, la natura, l’essere umano e tutto ciò che sta intorno e dentro di sé come se ne fosse il guardiano, il custode di un segreto da diffondere a coloro che sono distratti o peggio, chiusi entro i propri limiti.
In conseguenza penso che un poeta, se bravo, non pubblica sul web e meno che mai alimenta un blog con le sue poesie.
E allora perché io faccio esattamente quello che questi scadenti fanno?
Mi pongo questa domanda perché mi credo migliore degli altri?
È una domanda a cui non so rispondere. O forse non ho il coraggio di rispondere.
Forse coloro che io giudico scadenti non lo sono? Da cosa si giudica se un poeta è bravo o meno?
Se si dimentica, o s’ignora, quanto detto in precedenza, si è tentati di giudicare dal numero dei like ricevuti.
O dal numero di commenti che i suoi lettori lasciano in calce a ogni sua poesia.
I like (come il “seguire” un blog) lo sappiamo bene si seminano a spaglio per un tacito accordo di do ut des.
E se leggiamo i commenti ci accorgiamo che parecchi si limitano ad affermare il gradimento (mai uno che esprima il contrario, e se lo esprimesse lo farebbe brutalmente, per la carente formazione culturale di lui, lettore, e altrettanto brutalmente sarebbe rimbeccato).
I commenti più articolati si presentano sostanzialmente come una conferma del pensiero dell’autore attraverso un ampliamento in forma cronachistica di fatti o situazioni personali.
Rari, ma per fortuna esistono, quei commenti che espongono un’opinione personale sul contenuto poetico, sullo stile o semplicemente esprimendo il proprio sentire suscitato dalla lettura.
Se non ci fossero questi lettori la conclusione di questo mio ragionare sarebbe terribile: si pubblicherebbero solo versi orribili e gli autori di essi rimarrebbero nella convinzione di esprimere il bello, senza poter rendersi conto che stanno diffondendo l’ovvietà, il banale, il nulla.
Resta il pericolo che pochi acquistino le raccolte poetiche di un autore che pubblica sul blog.
E comunque il peggio si prospetta per colui che desidera ampliare il numero degli acquirenti, o per dirla in modo più umanamente accettabile, colui che avverte il bisogno di diffondere il più possibile. Si troverebbe di fronte al tremendo dovere di essere costretto ad acquistare il libro di un altro autore che pubblica sul blog ( e di cui ha in orrore i componimenti poetici) per quella consuetudine, evidenziata prima, del do ut des.
In compenso quei pochi lettori che stimano un autore, se lo hanno seguito attentamente, non temono di acquistare a scatola chiusa, perché già ne conoscono il pensiero e il modo di esprimerlo.
Sono lettori sensibili che non vogliono limitarsi ad esistere, ma desiderosi di trovare le parole adatte a dare un nome a sentimenti che altrimenti resterebbero indefinibili, a metà fra il dolore e la gioia, tristezza e felicità, amore e rancore. Ma soprattutto tra il sentimento dell’io individuale e quello di un’io anonimo sperduto tra la folla.
Sono loro che danno alla parola del Poeta il senso dell’immortalità.