
Queste parole di un uomo dal cuore debole,
sorta di macchine o giochi per soffrire di meno,
ad altri uomini dal cuore debole.
(Gesualdo Bufalino, “Dedica molti anni dopo”, dalla raccolta “L’amaro miele”
Nelle mie poesie non troverete uomini, o più genericamente cuori, che piangono i perduti amori. né uomini che amano i tassisti.
Troverete uomini sconfitti, poveri, ubriachi, prostitute, transessuali, vittime e quanto di “umano” si possa incontrare nella vita, perché la vita mi ha donato fin dalla nascita la compagnia di quel che sta alla base di tutta questa umanità: la tristezza della miseria.
Sono cresciuto in mezzo all’infelicità più profonda degli individui vittime dell’incomunicabilità di un mondo che sembra dimenticare miseria e infelicità, o che sembra ricordarsene solo quando possa generarle negli altri.
Essere cresciuto in mezzo a loro non vuol dire che io non sappia cosa sia la felicità.
La conosco, spesso la frequento, ma la vedo lontana dall’uomo, esattamente come la vedono lontana i portatori di questa “umanità”.
Così ho imparato che per dire qualcosa di lei non posso escludere dai miei versi nessun argomento che la riguardi, convinto come sono che la poesia sta nella realtà come l’acqua sta in un fiume: bisogna metterci le mani dentro e darle una forma adatta per renderla gradevole e accettabile, ma soprattutto comprensibile.
So bene: le poesie che trattano questi argomenti in maniera esplicita non attraggono particolarmente il “popolo di lettori”, che amerebbe correre su prati verdi colmi di fiori e di speranze o farsi quattro risate a cuore aperto.
Non posso farci nulla.
Sono le mie poesie e fanno parte del mio mondo in cui vivo e sogno, di cui provo rabbia e pietà.
Lo dico senza muovermi dalla mia Galilea, perché in tanti sono venuti e sono certo che altri ne verranno, si siederanno là dove la vita offre loro un appiglio per sedersi e riflettere, e ascolteranno in silenzio lo scorrere dei miei versi come lo scorrere del proprio sangue nelle vene.