Meditazione Inquieta

Semivan_Lauren_Wind_1_2012

Lauren Semivan, Wind, 2012

Stridono nel sonno si rigirano
rosse bandiere irrigidite dalla ruggine
nella tempesta di un mulinare inesistente
dentro la stanza male illuminata.

Tra le pareti in movimento i miei pensieri
saggiano alzandosi in volo
da che parte giunge lo scintillio dei fulmini.

Dalla finestra chiusa entrano i gridi
delle foglie strappate con violenza,
della luna che muore soffocata
nei fondali torbidi del cuore.

Poi nel silenzio nuvole migranti
lasciano tracce d’ali
appesantite dalla pioggia.

Nello spazio la mente
bordeggia come nave percossa dalle onde
obliquamente tenendosi agli spigoli
sfuggenti dei ricordi.

Misera mente smussata dagli anni.

 

La finestra

Katia Chaushevarit

 foto di Katia Chausheva

Nella stanza dei tuoi sogni e delle tue solitudini
dove celebri il rito dei piaceri e degli incubi
e insegni al tuo corpo le dolcezze dell’uomo,
dove spegni i desideri con lunghe carezze
che le tue mani donano al pube bagnato,
sono entrato guidato dai tuoi sorrisi incerti
dal tuo sguardo acceso di tenera paura.

Come in un sogno i seni, ciottoli odorosi
di un torrente fragrante d’acque luminose
sfioro con le mie mani, carezzo con le labbra
e aspiro come rose i tuoi capezzoli bruni.
Come in un sogno la tua profonda bocca
colma di saliva da cui bevo vino
spinge il desiderio di spezzare gli argini,
cospargere i nostri corpi di lucidi cristalli
che sgorgano dalla pura sorgente genitale.
Entro nella tua vita al centro del tuo cuore
al centro delle gambe che in un gesto d’amore
apri e rinserri avide intorno ai miei fianchi.
E lentamente, mentre i nostri cuori ansanti
gustano il piacere, si diffonde la quiete
si sciolgono le braccia si allontanano i corpi
ma le pupille restano sorridenti a guardarsi
si pongono domande suggeriscono risposte.

Dalla finestra aperta entra rosso il tramonto
tinge i nostri corpi ci invita nell’amore,
entra il fiato sporco dei motori che passano
di auto che soffiano di moto che ruggiscono.
E bucano i nostri cuori, strappano il cervello,
spalmano sui nostri corpi la paura della morte.

Chiudi la finestra! Stringimi forte al cuore,
prima che l’ombra intorbidi i nostri desideri.
Dimmi che mi ami e che il tuo corpo sogna
di volare al centro della felicità.

dalla raccolta “Formule dell’anima” (Caffè Tergeste Edizioni, 2011)

 

 

 

 

Frammento di lettera

Ti chiedi perché in tarda
età persista in me questo bisogno
di parole e di fole.
Forse codarda
davanti al mondo trema ancora la mia anima
come nei giorni dell’adolescenza,
forse ad senso agogno
diverso dell’umano. Così ho vissuto senza
progetti su me stesso e senza fretta,

pago del mio presente, prigioniero
degl’indugi che furono il mio male.
Gli amici mi assillavano con gli ovvi
argomenti del vero:
«Apri gli occhi! Non vedi quanta gente
ti supera che vale
meno di te?». Ma sordo a ogni rimbrotto
non volevo competere né lottare – e conobbi
la dolcezza che si nasconde sotto
le palpebre calate di chi aspetta.

 

Fernando Bandini, Meridiano di Greenwich, Garzanti, 1998

Dormire!

Dormire ! Non avere desideri né speranze!
Fluttua bianca l’unica nube lenta
e nella sonnolenta azzurra calma
la dea del non-essere annoda le trecce.

Maligno soffio d’ardua quiete
perenne la fronte e gli occhi brucianti,
e una foresta-sogno di rumori
rattrista gli occhi morti di virtù

Ah, non essere nulla coscientemente!
Piacere o dolore? Torpore lo reca e l’attarda,
e l’ombra connivente si prolunga
al suolo interiore che mente alla vita.

Mi disconosco. Imboscami futuro,
negli ombrosi sentieri del mio sogno.
Nell’ozio in cui diverso mi suppongo,
mi vedo errante, attardato e oscuro.

La mia vita si chiude come ventaglio.
Il mio pensiero si prosciuga come un vago
ruscello nell’estate. Ritorno e porto
nelle mani fiori che la vita subito dissecca.

Volontà incompresa assorta
nel voler nulla… Lungo distacco
dallo scrupolo e dalla vita del momento…

 

Fernando Pessoa, Poesie (traduzione di Luigi Panarese), Lerici Editori, 1967

 

La strana favola

Beth Moon Alberi sotto le stellerit

Beth Moon, Alberi sotto le stelle

A Luigi Maria Corsanico che ci narra con la sua voce emozionante le tante meraviglie che brillano nella favola umana.

 

Stiamo qui a guardare le stelle come bambini che ascoltano
a bocca aperta favole strane.
Con gli occhi sgranati e le pupille che brillano
altre stelle di un cielo infinitamente più oscuro
c’inseguono ostinate nel sonno.

Anche loro ci guardano come piccole lacrime scese
dalle guance rugose di un dio.
Lacrime sperse nello scorrere perenne dei fiumi,
nei solchi della terra, nera come la notte
in cui i nostri cuori hanno messo radici.
Germogliamo sotto i loro sguardi impassibili
come semi di alberi che crescono,
spalancano le braccia, vanno incontro al sole,
fremono, si contorcono in cerca della luce.
La linfa della terra ci offre il sapore
di una nuova meraviglia: la voglia di conoscere
la nostra vera anima,
la natura e il senso del tendere le braccia
verso l’albero che cresce in silenzio accanto a noi
– ci offre la sua ombra come tenero rifugio
all’infuocata furia delle nostre domande,
al battere continuo dei timori
come tamburi che ci scuotono il cervello.

Ascoltano le stelle il grido della nostra resistenza
al dolore, al destino, alla morte,
sorridono compiaciute del nostro non aver capito nulla,
della nostra testardaggine di sperare invano
d’essere felici eternamente.
Nessun suono del loro sorridere ci giunge
e rimaniamo immobili in attesa d’essere sorpresi
a bocca aperta dalla fine
della favola strana.

 

Charles Baudelaire – Canto d’autunno

Che posso aggiungere alla bellezza della poesia e alla forza evocatrice di Luigi Maria Corsanico che legge questi splendidi versi?
Posso solo invitarvi a riflettere su quanto sia ignobile e ipocrita quella storpiatura che ha definito Baudelaire un poeta maledetto. Se un aggettivo si vuol attribuire, lo si può definire “atroce” come lui stesso ha definito il suo libro. Un’atrocità che è assai simile a quella della vita dell’uomo.  

Quando mi parli al telefono

al_telefono di Lucia Merli

Lucia Merli, Al telefono

Quando mi parli al telefono
                                                   e mi s’aprono
d’incanto i paradisi
della vocalità –
                            gli accordi
e i tocchi d’arpa
                           soffici
appena subsquillanti
di quella voce dai precordi    sono
tuoi, sì, ma intanto
è il calmo pelago della muliebrità
                                                               che entra
festosamente ruscellando
nel mattino della stanza
               e mi dilava da me,
              si porta via la mia nascita,
             mi cancella dalla mia morte
lasciandomi sospeso…
                                         è o non è
chi? me stesso
ed il mio ascolto – le dicono da tempo
i suoi interlocutori
                                   uomini o angeli.

 

Mario Luzi, Le Poesie, Garzanti,2014

 

Non posso farci nulla

non posso farci nulla

 

Queste parole di un uomo dal cuore debole,
sorta di macchine o giochi per soffrire di meno,
ad altri uomini dal cuore debole.
(Gesualdo Bufalino, “Dedica molti anni dopo”, dalla raccolta “L’amaro miele”

Nelle mie poesie non troverete uomini, o più genericamente cuori, che piangono i perduti amori. né uomini che amano i tassisti.

Troverete uomini sconfitti, poveri, ubriachi, prostitute, transessuali, vittime e quanto di “umano” si possa incontrare nella vita, perché la vita mi ha donato fin dalla nascita la compagnia di quel che sta alla base di tutta questa umanità: la tristezza della miseria.

Sono cresciuto in mezzo all’infelicità più profonda degli individui vittime dell’incomunicabilità di un mondo che sembra dimenticare miseria e infelicità, o che sembra ricordarsene solo quando possa generarle negli altri.

Essere cresciuto in mezzo a loro non vuol dire che io non sappia cosa sia la felicità.

La conosco, spesso la frequento, ma la vedo lontana dall’uomo, esattamente come la vedono lontana i portatori di questa  “umanità”.

Così ho imparato che per dire qualcosa di lei non posso escludere dai miei versi nessun argomento che la riguardi, convinto come sono che la poesia sta nella realtà come l’acqua sta in un fiume: bisogna metterci le mani dentro e darle una forma adatta per renderla gradevole e accettabile, ma soprattutto comprensibile.

So bene: le poesie che trattano questi argomenti in maniera esplicita non attraggono particolarmente il “popolo di lettori”, che amerebbe correre su prati verdi colmi di fiori e di speranze o farsi quattro risate a cuore aperto.

Non posso farci nulla.

Sono le mie poesie e fanno parte del mio mondo in cui vivo e sogno, di cui provo rabbia e pietà.

Lo dico senza muovermi dalla mia Galilea, perché in tanti sono venuti e sono certo che altri ne verranno, si siederanno là dove la vita offre loro un appiglio per sedersi e riflettere, e ascolteranno in silenzio lo scorrere dei miei versi come lo scorrere del proprio sangue nelle vene.