Intervista al poeta e scrittore Marcello Comitini

Ringrazio di cuore Pier Carlo Lava per avermi sollecitato con questa intervista a alzare quel pesante velo di riservatezza dietro cui mi celo quando mi presento agli altri (amici o estranei che siano).

Magazine Alessandria today - Pier Carlo Lava

Intervista al poeta e scrittore Marcello Comitini

di Pier Carlo Lava

Alessandria today è lieta di presentare in esclusiva per il blog un intervista tutta da leggere, al poeta e scrittore Marcello Comitini, che ringraziano per la sua cortese disponibilità

Marcello ciao e benvenuto su Alessandria today. È veramente un piacere ospitarti. Ci vuoi raccontare chi sei, cosa fai nella vita oltre a scrivere e qualcosa della città dove vivi?

Grazie del benvenuto, Pier Carlo. Sono io che ti ringrazio di questa ospitalità che mi permette di far conoscere anche ai vostri numerosissimi lettori quali realtà si muovono nella mente di chi scrive poesie per mestiere, il mestiere che ha sempre desiderato in cuor suo, anche se, come tutti i lavori o mestieri, richiede fatica. 

Non so cosa faccio nella vita, come non so cosa faccio iodella miavita perché non sono mai stato in grado di coniugare ciò…

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Encore ma mère . Anise Koltz.

Dal blog “Lire dit-elle” di Barbara Auzou traduco questa poesia della poetessa lussemburghese Anise Koltz che esprime i propri sentimenti verso una madre dal carattere particolarmente forte, o almeno così percepito da una figlia che appare un po’ sperduta nel mondo (anche se la sua vita personale è di tutt’altro tenore – ma è possibile che nella madre abbia descritto sé stessa).

ANCORA MIA MADRE

Da ottant’anni
mia madre mi mette al mondo
e mi sotterra
quotidianamente

Porto il suo nome
come una camicia di forza

Succhiando dal suo seno
mi sono addormentata
per interi secoli
mentre lei lavorava
i miei campi

Svegliandomi
sono crollata
sotto le sue parole acide

Nel suo corpo
 era inacidito il latte.

 

L’ho fatto lentamente

Caltagironerit

Caltagirone, Scalinata Santa Maria del Monte – foto di Laura Galvagno

a Laura Galvagno

Quando sono andato via dalla mia città
l’ho fatto lentamente
portandomi dietro come un Koala ferito
tutta la famiglia,
i piccoli piangenti e la felicità di mia moglie
sognando un futuro migliore.
L’ho fatto lentamente.
Sono partito e poi tornato da solo e ripartito per non sentire
il sangue che bruciava tra i brandelli di pelle lacera.
Sono andato via e nessuno mi ha detto addio
oppure ritorna.
Non sono più tornato anche se ho continuato a passeggiare
ancora per le sue strade ed ho incontrato i volti
bruciati dalla lava e ho teso la mia mano per stringere
mani fredde che credevo di conoscere.
Come potrei tornare ora che una pelle nuova ricopre le mie ferite
e nel mio cuore non sono più capace di portare tutta la famiglia,
ora che sono solo con il ricordo della mia città,
e un nuovo amore senile si stringe al mio corpo
con le sue mani bianche che non fanno futuro.

 

 

Marcello Comitini, scrittore e poeta, note biografiche in attesa dell’intervista

La mia biografia sul sito Alessandria today. A breve Pier Carlo Lava pubblicherà in esclusiva una mia intervista È per me un onore essere ospite di un sito così vivace e variegato, in cui confluiscono voci e notizie da tutto il mondo e in cui l’arte occupa un posto non irrilevante.

Magazine Alessandria today - Pier Carlo Lava

Marcello Comitini, scrittore e poeta, note biografiche in attesa dell’intervista

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Alessandria today è lieta di pubblicare la biografia dello scrittore e poeta Marcello Comitini, del quale in seguito verrà pubblicata anche un intervista in esclusiva.

Biografia 

Marcello Comitini, siciliano, nato a Catania, laureato in Giurisprudenza, vive attualmente a Roma.

Ha svolto diversi mestieri, tra i quali insegnante di fotografia e cinematografia, analista dei processi produttivi delle aziende creditizie, direttore organizzativo del teatro Ambra Jovinelli.

Ha smesso di lavorare nel 2003.

A ventinove anni ha pubblicato la raccolta di poesie “Un ubriaco è morto” (Misuraca Editore). È seguita una pausa trentennale, durante la quale ha tradotto parecchi autori dal francese, fra cui “I fiori del Male” di Baudelaire, “Pescatore d’acqua” di Guy Goffette, “La penombra dell’oro” di Jean Mambrino, “Lignes de fuite” di Pascal Hermouet.

Ha pubblicato: “Formule dell’anima” nel 2011, il libro di poesia e arte “Di cremisi e…

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42 perle di Donatella Pezzino (recensione)

Donatella Pezzino

 

Lungo il cammino che Donatella Pezzino ha compiuto  – e che ancora continua a compiere – nella intimità clandestina della pagina, attraverso 42 poesie pubblicate sul sito di Bibbia d’asfalto (http://poesiaurbana.altervista.org/category/autore-donatela-pezzino) e raccolte a formare un “filo di perle”, Donatella incontra una donna dal carattere schivo ma cordiale, romantica ma proiettata verso il futuro, maliziosa e docile come solo la dolcezza può rendere maliziosamente docile una donna. Si sono affiancate e camminando hanno iniziato a parlare. Nel corso del dialogo, il volto di una delle due è celato dietro una maschera. Non è possibile capire chi sia la più giovane, chi delle due abbia più esperienza della vita. Né è possibile sapere chi parla, e se sia un dialogo o un monologo. Sembra più che altro un emozionante, e alquanto strano, scambio di segnali che si svolge tra una che parla e l’altra che ascolta soltanto. Eppure non si può dubitare che sia un vero e proprio dialogo perché di una cosa si può essere certi: a colei che parla tracciando segni verbali, l’altra risponde con segni che suscitano e diffondono nell’aria colori, vibrazioni, profumi, sogni,ricordi, fantasie, immagini di donne vissute nel passato ma ancora presenti, uomini leggeri (amati?) come una nuvola ma che hanno saputo lasciare tracce insanguinate . Il dialogo interiore assume per il lettore il tono di una lettera indirizzata a una sconosciuta. Una lettera che, dal proprio mondo, Donatella lancia nel futuro portando con sé la consapevolezza

che anche le cornici

s’impolverano

qualche volta; e hanno l’odore

dell’amore rimasto in gola,

quel dolce triste della frutta cotta

Il dialogo inizia nel profondo del proprio intimo ma si manifesta con l’invito, rivolto alla compagna, a parlare per prima, a evocare ricordi comuni, in cui tutto si illumina di colori e profumi malinconici:

raccontami il paese, col grigiore finto-dormiente

delle case, e un’afa di mele mature

per le salite ombrose; e dimmi

delle vendemmie, e del cielo aspro e antico

dove tutto svaniva. Dimmi. Di te

Le interlocutrici dunque non sono due che non si conoscono: Hanno vissuto esperienze comuni. Ma quando? E adesso che dialogano, perché a volte colei che parla si rivolge alla compagna come se fosse andata via? È solo una sensazione provocata dal fatto che i verbi utlizzati sono quasi tutti al passato?

C’eri tu al posto di questa balaustra sporca di sabbia,

e la tua casa inghiottita da una voragine spaventosa

insieme ai roseti, alle terrazze umide di frutti

Ma il lettore sente con chiarezza che la compagna è lì accanto a colei che parla e la inonda di ricordi colmi di domande e di risposte mai risolutive.

Tu sai a cosa penso se mi chiedono di scrivere

dentro a una di quelle finestrelle di carta che si aprono:

non al cestino del pane usato per la frutta,

non alla crocchia, al grembiule che copre una parola di troppo

o alle posture forzate che hanno gli arti dolorosi e il cuore duro dei

vecchi

Bisogna scorrere i versi della silloge e tornarvi più e più volte. Solo allora si capisce che è proprio Donatella Pezzino la compagna di sé stessa: una Donatella che risorge dalla

memoria di com’era, di come sarebbe voluta essere, di come si percepisce adesso.

al ginocchio che ti basta piegare appena

per sembrare me

e al tuo sorriso vestito, quando mi chiedi

per gentilezza

di significare qualcosa

E questo spiega la contemporanea assenza e presenza di colei con cui dialoga.

Da una me

in seppia mi arriva il ricordo

di mille soli scomposti

dentro un tubo di cartone

Non vi sono precedenti nella letteratura in cui l’autrice dialoghi sistematicamente con sé stessa come se fosse un altra da sé, come se raccogliesse in sé tutte le figure femminili che l’hanno preceduta (o che le vivono ancora a fianco) e con cui è entrata in contatto fosse anche soltanto per essere donne. Neppure Pessoa, a cui questo pensiero potrebbe rimandarci, può rappresentare un precedente: Pessoa si sdoppia e sdoppiandosi si separa da sé, dimentica il sé originario.

Donatella si sdoppia nell’altra ma non si dimentica

Fammi un piacere:

inventati un dolore,

un dolore qualsiasi.

Non coprirti gli occhi con le mani

mentre cambio l’acqua ai fiori finti.

Ho le unghie spezzate

per il troppo scavare.

È un’altra che è l’incarnazione di una sé stessa.

Ora

mi sono chiari gli incastri di viola

quel tuo essere ambidestro

con la parola

Una sé stessa nel cui animo a loro volta vibrano e si incarnano le esperienze delle altre donne

Permetti alle sonorità latenti di trasfonderti

l’effluvio dei lilium, a compenso della poca luce

desiderata. Prendi fiato

pensando a quante stazioni

ci separarono

e a quanti nidi d’ossa avresti potuto

assomigliare

semplicemente abbracciandomi; a quante

ombre

ti si confonderebbero addosso

 

Quando non dialoga con l’altra, parlando d sé stessa Donatella svela la sua arte di fingere

Ero: il rossetto mentiva

l’esanguità delle labbra, e l’anonimato

dei vagoni letto.

Fingere perché nella menzogna c’è la possibilità di fuggire dal giudizio degli altri, dai vincoli in cui le relazioni umane ci costringono.

L’unica mia luce:

il riflesso delle bugie fra le scapole dorate,

le candele dei ristoranti panoramici

in una sera dove niente ha sapore

e

dove spugne imbevute d’aceto

nutrono le vene vuote delle orchidee

Questo s’invera soprattutto di fonte all’uomo, che rappresenta l’altro con cui il dialogo diventa difficile perché i segnali che ne riceve sono di comando o di indifferenza

I disegni sulla pelle non si sciolgono,

i lacci sì. Per questo ti scivolo via

dalle unghie

anche se cerchi di piegarmi

dolcemente

come fai col giornale di oggi

prima di leggerlo

 

E quando i segnali tacciono, c’è sempre quella malinconia struggente che rivela come la loro assenza renda doloroso il dialogo

Non so più quale amore mi raccoglie

oggi: se quello del mendicante

per il suo vecchio cappotto

o quello della foglia secca che vola

in tondo sul marciapiede

sperando che qualcuno la calpesti. Non ricordo

i baci, sai: ricordo solo

che eravamo scalzi. Come il silenzio

ora

hai stanze chiuse

e ringhiere:

trattienimi

Dal dialogo emerge di Donatella una figura interiore in conflitto con la realtà che la circonda con un ruolo – certamente doloroso – che rischia di soffocarla in una vita confusa che ha tutte le caratteristiche per definirsi simile alla morte.

Stanno lì, sospesi sulla gruccia

in attesa di dimenticarsi a vicenda.

[…]

e tu dipingi

fiori recisi, improbabili

fiori

per inventarti la vita

dentro una morte che non profuma

Ma cosa dice di sé Donatella a colei che ascolta in questo fitto dialogo?

Io – fame d’aria –

lanciata in alto come una moneta

indecisa

da quale parte cadere

In realtà non è un’indecisione ma l’idea che Donatella ha della condizione umana che costringe l’uomo a vivere questa vita ben sapendo quale sia la meta finale.

siamo tutti

strappi deliranti, nella tela antica

che un male oscuro corroderà in eterno

clandestini a tempo

in questa strana osmosi

fra l’infinito ed un pugno di terra

Una meta che spinge Donatella a considerazioni molto amare intrise di un forte rimpianto nel ricordo di chi l’ha raggiunta

Peccato sia tardi: la sera

ci sgretola addosso un buio di zinco e di rami spezzati. Così

mastico radici amare, immaginando di esserti ancora

e odiando la terra meschina

sopra i tuoi piedi

Una morte amara ma non violenta, non traumatica perché in essa si entra

nel cono d’ombra

a piccoli passi

 

e in una dimensione in cui

non bastano a contenerci

muri infiniti

 

Il linguaggio del dialogo si avvale, come già accennato, non soltanto di espressioni verbali ma di tutta l’atmosfera che le parole sanno sapientemente ricostruire intono a chi legge. Sono parole scelte una per una come oggetti, apparentemente estranei tra loro che, ricomposti dalle sensibilità di Donatella come perle in fila a formare una collana, si raccordano creando accostamenti arditi e originali.

Scomparso il razionale, regna il lento, calmo, melodioso e armonicamente perfetto irrazionale poetico. Un irrazionale che induce a pensare alle opere di Picasso, in particolare a quella serie degli anni quaranta in cui l’Artista, divenuto amico dei poeti, introdusse elementi di tecnica poetica: forme dai molteplici significati, metafore di forme, paradossi che consentirono al suo mondo interiore di manifestarsi creando realtà che sono espressione umana dell’astrazione mentale.

Il richiamo a uno dei massimi rappresentanti della rivoluzione attuata dalla pittura del novecento chiarisce perfettamente le espressioni poetiche che ritroviamo in Donatella.

Come Picasso introduce nei suoi quadri metafore di forme tratte da immagini poetiche, Donatella crea immagini poetiche da metafore di oggetti tratti dalla pittura. Gli stessi colori le stesse atmosfere per giungere a spandere intorno ai suoi versi la luce odorosa che si respira nell’ammirare un quadro di Picasso.

Mi mettete in posa su un carretto dipinto

e non sentite, fra le giunture molli

i fruscii delle ortiche.

Non resta altro da scrivere per il momento mentre è utile mostrare qui di seguito, come quadri esposti sui muri di una galleria d’arte, quattro dettagli dei numerosi  “dipinti”, contenuti in questa silloge, in cui figurano le immagini che più colpiscono chi legge:

1)

un orecchino già visto, e vapori di cucina

intorno a gonne senza gambe

2)

Sul comodino

ti lasciavo, come di consueto

la mia busta dei sogni

con le parole che non riuscivi a dire,

qualche vecchia forcina di mia madre

e la foto del defilé del trentaquattro a Londra

dove mi si vedeva in piccolo

3)

Si aspetta; sempre. E nell’aspettare

si diventa foto in bianco e nero

per ricordare cose: il paltò

senza tasche, l’orologio

indietro. Si resta così,

modelli in carta

di profumi dimenticati

4)

L’arancio grato dei tetti. L’amara

consapevolezza dei campanili

nel denso odore di pioggia. Poi, l’estate.

 

 

Roma, 12/07/2018                                                                                         Marcello Comitini

 

 

Recensione a “Quarto giorno” di Marcello Comitini

Che aggiungere, cara Donatella se non un sentito grazie? Non è sufficiente lo so, ma so la tua generosità

La Sicilia, terra e donna

Non esiste distinzione più classica di quella che oppone il vivere al morire. In Marcello Comitini, invece, la vita e la morte sono sorelle, in quanto figlie della stessa insoddisfazione; e adesso, al crepuscolo dell’esistenza, è il tedio della vita a restituire senso ad una morte forse da sempre, più o meno segretamente, vagheggiata. Ma in questo “Quarto giorno”, più un moleskine che una silloge in senso stretto, il naufrago di tutti gli altri giorni approda al pensiero di una morte che non è, come per molti altri della sua generazione, la meta finale di un percorso lineare, seppur sofferto; la morte, qui, è un tutt’uno con il desiderio del nulla, dell’annichilamento totale. Niente oltre, niente aldilà; di Dio non si nega l’esistenza, ma lo si percepisce distaccato, quasi ostile. Dio non parla, non condanna e non assolve: a giudicare Marcello è solo Marcello, e il verdetto, in questo caso…

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Sulla soglia delle porte

Una maglietta rossa

7 luglio contro i comportamenti di rigetto

promemoria per Matteo Salvini

Questo viaggio in un mare interminabile
che sfinisce i corpi e soffoca le menti
è una triste nenia nel silenzio delle stelle
un canto lungo e lento illuminato dalla luna

Dalle onde sgorgano le voci
di coloro che hanno attraversato il mare.
Gridano agli addii
con le mani alzate sulla soglia nera delle porte
– altri pozzi da cui escono altre voci –
chiamano, ammoniscono
come nuvole si sperdono nei fuochi del tramonto.

Saliti sulla barca si narrano di nascite
alcune ancora dentro i ventri, altre strette tra le braccia,
di vite umiliate nella polvere,
di matrimoni e morti e di tutto quello
che hanno abbandonato.
Tutto perduto. Tranne la speranza.

Il viaggio lungo e lento
è come il mormorio di un canto a labbra chiuse.
All’improvviso esplode nelle gole quando il mare
gonfia le sue vene e la barca si rovescia
mostrando il dorso come un bruco
con migliaia di zampe in movimento.

Cadono, galleggiano, saltano come i pesci,
inghiottono nel vento il fiato della morte
si aggrappano all’ultimo lembo della vita.
Ripiombano pesanti tra le onde,
vogliono ostinatamente giungere alla riva
quella spiaggia sognata di alghe stese al sole. Per vivere
se ancora i corpi avessero la vita!

I volti lacerati dagli scogli baciano la sabbia
e gli occhi gonfi di sale cercano nella terra
i segni di un futuro che non ha più storia.

Con i visi rivolti alla paura e con le mani
tese alla pietà,
li solleviamo trasportandoli a riparo
dallo sguardo freddo della luna,
dal pianto delle stelle,
dalla crudeltà del sole che ha brillato
cieco su di loro.

Come otri colmi d’acqua e sale
li afferriamo ai polsi e alle caviglie
come se dovessimo stivarli nella nave
già salpata verso un lungo viaggio
alla ricerca di un mondo lontano senza pace.