Il salto

Pablo-Picasso-Child-with-flower

Pablo Picasso, Child with flower

allo stupore dolente dei Genovesi

Eccomi ancora sui sedili posteriori dell’auto.
Nello specchietto retrovisore mi vedo lontano e piccolo.
Giocavo con la palla rossa e blu che mi ha regalato
la nonna per questo viaggio.
Mio padre diceva a mia madre di essere arrabbiato
perché aveva dimenticato di chiudere
il gas e la finestra del bagno.
Io immaginavo la nonna che entrava a casa
per chiudere il gas e la finestra mentre si guardava intorno
e sentiva la malinconia della mia assenza. Saranno contenti
– pensava – d’essere tutti in vacanza.
Non sono mai stati nel Midi della Francia in un sole più buono
e un vino più dolce di quello che fanno in Toscana.
È vero mio padre e mia madre non ci sono mai stati
ma già sanno qualcosa. Lo capisco dai loro visi sereni.
Mio padre diceva la nonna ormai è fuori di testa. Crederà
che non siamo partiti
diventerà triste e morirà di dolore. Non dovevi
dimenticare la finestra aperta e non chiudere il gas.
Mi vedo nello specchietto retrovisore
che ho messo da parte la palla e guardo mio padre.
Anche mia madre lo guarda scuotendo la testa.
Abbiamo voglia di dirgliene quattro
e poi ridere insieme di questo nostro amore che cresce.
Mio padre sorride e mi guarda
nello specchietto retrovisore. Io gli sorrido.
Nel piccolo spazio tra me e il sedile di fronte
lancio la palla che rimbalza e la prendo. Rimbalza e la prendo.
L’auto è il mio cortile il sedile è il muro di fronte
la palla è la musica del mare alla fine del viaggio.
Mia madre sorride e si volta a guardarmi.
Abbiamo tanta strada da fare
forse è meglio che dormi. Non voglio dormire.
Guardo la strada davanti a me tra i loro visi girati
voglio raccogliere sogni.
Cerco di non chiudere gli occhi, di sentire la voce
di nonna che dice ormai sei un ometto.
Poi non vedo più nulla. Tra le mie braccia la palla e la nonna
che apre e chiude la bocca in un silenzio di morte.

10 pensieri su “Il salto

  1. bella la tua poesia ma sinceramente mi aspettavo una poesia sulla mia città , quel ponte era il braccio che si protendeva in un segnale di amore di amicizia e di lavoro. era un brulicare di formiche che andavano e venivano e da lassù amavi la mia città la sua bellezza il suo porto quel braccio è stato tagliato e con lui si è spezzato il cuore degli abitanti di Genova si sono spezzati sogni di persone e famiglie e di quel bambino che tu con tanto sentimento racconti La mia città si è fermata nel dolore che non cancellerà mai sarà pronta a ripartire e allungare il suo braccio Zena la bella merita di essere amata da tutti grazie Marcello non pubblicherò la tua poesia molto bella ma la mia città la voglio ricordare come merita ciao

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    • Gabriella, la tua descrizione del ponte e del significato che rappresentava è molto sentita. Ma si limita, se mi consenti, a delle suggestioni paesaggistiche. In realtà il ponte che non è stato spezzato come tu dici, quasi fosse vittima del fato, ma è crollato per scarsa manutenzione uccidendo persone e distruggendo cose. E sinceramente tra cantare un ponte che ha attirato persone col miele ingannevole del suo panorama per poi rivelarsi un assassino, ho preferito ricordare le sue vittime che ho rappresentato in quella famiglia serena che ha interratto il suo futuro d’amore precipitando giù dal ponte che li ha inghiottiti nel vuoto schiacciandola coi massi. Forse non sono così sensibile a certi manufatti umani, che si rivelano una trappola mortale. Ma io voglio ricordare le cose nel loro vero e profondo significato: il grido di dolore delle vittime di quel ponte assassino, senza nessun rimpianto per il suo essersi sbriciolato con una pioggia mortale di cemento e ferro.

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  2. quel ponte è indispensabile per l’economia della città molti lavoravano attraverso quel ponte la città ora è tagliata in due e per raggiungere la parte opposta devi fare mille giri trafficati all’inverosimile non era solo miele ingannevole per attirare turisti parlo di una genova che a sempre lavorato quel ponte era costantemente tenuto sotto osservazione e i genovesi pensavano che la manutenzione fosse in mani sicure cosa che non si è verificata noi cittadini siamo nelle mani di un Dio denaro il diavolo da combattere ciao grazie

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  3. Caro Marcello, ho apprezzato molto la delicata sensibilità con cui sei riuscito a rappresentare il dramma di una famiglia che prima c’è, esiste, pulsa di vita e dopo un istante viene annientata, spazzata via nel nulla. E’ una poesia che volgendo lo sguardo alla tragedia di un singolo nucleo diventa chiaramente simbolica del dramma collettivo che ha troncato la vita di molte altre persone e colpito nel profondo il cuore della città di Genova.

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  4. Grazie della visita e del commento, Alessandra. E grazie per aver sottolineato il mio pudore (che tu chiami delicatezza – e di questo ti sono davvero grato) nel narrare una tragedia orribile. Forse un giorno scriverò proprio del ponte (e farò contenti i genovesi che lo guardavano solo come strumento di viabilità e come tale lo rimpiangono, ammesso che non venga offerta loro una soluzione più adatta alla viabilità di oggi). Ma ancora sotto il fuoco della tragedia mi sembrava che l’uomo e le sue speranze (come anche il suo dolore e la sua fragilità) rese inaspettatamente vane, fossero molto più importanti di qualsiasi rimpianto o di qualsiasi atto di accusa contro chi è responsabile di questo disastro. Con il tuo commento hai messo in evidenza come tu sia riuscita a penetrare tutte quelle allusioni a cui la vicenda e i singoli personaggi rimandano. Ed è davvero di questo che ti ringrazio.

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