
Dipinto di Emil Nolde (1867-1956)
La notte lacerata dai bagliori dei fanali
striscia sulla città si alza alta
avanza silenziosa zoppicando
con il mio stesso passo.
Vicino a ogni lampione,
tenta di scaldare alla luce fredda
le sue mani umide e il suo viso di pianto.
Con il cuore ferito da quell’indifferenza
scioglie nella luce il suo splendore oscuro.
Io non posso lasciare che se ne vada sola
cacciata lungo i viali dal brusio dei lampioni.
Insieme abbandoniamo la città deserta
sotto lo sguardo terreo delle finestre spente.
Stendiamo i nostri corpi come due coperte
sopra campi soffici arati e profumati.
Ho gli occhi spalancati sul suo volto
che trattengo tra le mani
e sul sorriso immenso che rivolge all’universo.
Sotto un cielo chiaro di nuvole bianche
lei chiama le sue stelle e la bella luna
io verso nei bicchieri il vino dei ricordi.
Cantiamo forte in coro come gli ubriachi.
La vita – penso allora – non è forse
l’incanto ebro di una notte che sogna l’infinito?
Molto bella!
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Grazie dell’apprezzamento, Alessandra!
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Incantevole, suggestiva… sembra quasi di vederle le immagini evocate.
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Grazie della visita e del commento, Alessandra.
Ho visitato il tuo blog. Ho apprezzato in particolare questa tua riflessione/dichiarazione sulla poesia: “Per questo e altro le poesie di carattere puramente sentimentale mi hanno sempre attratta poco e altrettanto poco convinta, a parte qualche rara eccezione (vedi ad esempio Cesare Pavese, di cui mi piace tutto o quasi).”
Per questo ho apprezzato in particolar modo il tuo commento ai miei versi. Grazie.
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Questa tua poesia, evocativa e musicale è veramente molto bella.
Complimenti, Marcello !
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Grazie della visita e dell’apprezzamento, Isidoro!
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Grazie a te, a presto !
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Che bella questa immaginazione, questa coppia così diversamente assortita, così affiatata, unita dall’affinità del sentimento, dell’aspirazione, dalla purezza, dalla libertà, dalla ricerca di gioia e bellezza.
Che bello provare a immaginare cosa manchi alla notte per sentirsi appagata. Ha già la luna, le stelle. Si veste del manto luccicante della volta celeste. Eppure, anche a lei, incompresa, bistrattata dall’artificiosità, di un vacuo mondo antropomorfo, mancano felicità e pienezza. L’infinito (che evoca l’immortale monologo del Poeta). Ed eccolo, il poeta, mentre la segue, l’accompagna, fugge con lei, si allontana a sua volta dal mondo, da luci moleste e insensibili, si rifugia nella natura. Lui sì, sente la Notte, sa chi è, la rispetta. Riempie i calici, le parla. E infine, ebbro di vino e di lei, si perde in quello stesso mistero che è la vita.
Sempre bravo Marcello. Questi tuoi versi, oltre a essere musicali e freschi, vividi nel trasmettere atmosfera e sensazioni, raccontano una favola colma di allegorie e rimandi. (E commentarli è quanto mai spontaneo)
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Paolo, grazie. Scrivi dei commenti che suscitano ammirazione per la loro completezza e per l’entusiasmo con cui li animi. Grazie, davvero!
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Figurati. Non posso giudicare il commento in sé, ma ti posso assicurare che se è come dici, il piacere è mio. Grazie a te! (continua così!)
A presto,
P.
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Concordo. Né io posso giudicate le mie poesie, né tu i tuoi commenti. Ma è certo che i tuoi commenti centrano in pieno l’argomento che trattano e ne mettono in luce quei significati che a una semplice lettura sfuggono. Ancora complimenti.
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