
foto con elaborazione grafica di marcello comitini
Nuvole di carta vestono la sposa
come luna nel vento di marzo
scesa lungo i prati della villa antica
e cammina tra le statue infreddolita.
Nascoste tra i platani e le querce
al canto ininterrotto degli uccelli
inspirano espirano le statue
ridono respirano non vedono
la sposa dalle spalle nude
sotto un arco di fiori irrigiditi
calpestati dal freddo.
Dove sono i compagni – chiedo ai fiori –
i parenti, gli amici? Dove lo sposo che l’attende?
Lei è sola con la sua felicità.
Con il mio sguardo vorrei cingerle le spalle
Con le mie labbra baciare le sue labbra
Con il mio fiato scaldare la sua pelle.
Ma lei è sola con la sua felicità.
Laciamola felice questa Sposa solitaria
Nè amici, né parenti, né sposo , faranno la sua felictà… forse un tuo bacio: chissà
Che bei veri, caro Marcello
Complimenti
Baci da Mistral
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Hai detto bene, Mistral: forse un mio bacio. E mi piacerebbe davvero che attraverso il mio bacio scendesse anche in me un po’ della sua felicità.
Grazie della visita.
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sicuramente è una sposa felice perchè il suoi amori l’hanno lasciata felice ciao Marcello
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La felicità non permette a nessuno di toccarla. In quel giorno la Sposa (credo ogni Sposa) potrebbe camminare anche sui carboni ardenti. Per lo sposo, per i parenti, per gli amici? No! Perché è donna e in quel giorno si sente più donna.
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è bello che qualcuno la pensi diversamente da me perchè così nascono le poesie ciao
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Questa la mia sensazione per circostanze simili che in passato non mi furono estranee.
La sposa riflette la solitudine del poeta.
L’impenetrabilità della donna, che può essere felice malgrado lui, gli altri, spettatori lontani.
Fredda, sola e felice, impermeabile al suo amore, irraggiungibile, non per colpa di Lei.
Una rappresentazione dell’incomulicabilità che spesso separa l’uomo e la donna.
Assai attuale oggi, per la quale molti preferiscono la singletudine (mio caso), qui estranea al poeta, infervorato ma inerme, forse rassegnato.
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Grazie della visita, Eugenetics, e soprattutto del commento (anche se per logica il commento non poteva esistere senza visita!).
Certamente credo nella solitudine di ciascun individuo, una solitudine profonda e non sradicabile che ogni persona avverte nel proprio intimo per essere e sentirsi persona: lui e nessun altro. E ben hai detto che questa poesia parla dell’incomunicabilità.
I versi nascono dall’aver assistito a un matrimonio in una fredda giornata di marzo, ventosa e grigia. La sposa, nel suo abito bianco che le lasciava spalle e braccia nude, era talmente presa dal suo ruolo di sposa che sembrava non avvertisse il freddo che le divorava il corpo. E mi sono chiesto se fosse proprio quella “esposizione” a dare senso e significato a quei momenti, a quel giorno. Leggevo nei suoi occhi lucenti e nel suo sorriso raggelato dal vento e quasi stereotipato, che nulla le importava degli altri, se non come pubblico festante che celebrava la sua esibizione. Gli altri, peraltro, poco si preoccupavano, anzi non si curavano per nulla, che la sposa potesse soffrire e che avrebbe accolto con segreta gratitudine (come avvenne dopo tre ore) il gesto di attenzione di farle indossare il corpetto che giaceva dentro l’auto. Ma oltre agli invitati disattenti mi sono chiesto dove fosse lo sposo. Ho sollecitato che la coprissero e quando ciò è avvenuto, sono andavo via a metà festeggiamenti. Rassegnato? No. Inerme, come bene hai detto tu, e scoraggiato.
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Che bella scoperta…
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Scusami, Marianna. Non ho capito.
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